Mono: For My Parents European Tour
17/02/13 - Bloom, Mezzago


Articolo a cura di Fabio Rigamonti
La domanda principale che ti frulla in testa la prima volta che ti accingi ad assistere ad un live del quartetto nipponico Mono è: come diavolo riusciranno a compensare l’orchestra, divenuta oramai parte integrante del sound della band - come ampiamente manifestato negli ultimi due (capo)lavori in discografia – senza perdere in intensità ed impatto emotivo? Poi, ti chiedi come sia possibile assistere al “miracolo” di averceli live a pochi passi da casa, con una distribuzione italiana delle loro opere totalmente assente, e quanto beffardo possa essere il destino, visto che il fatidico giorno capita proprio nel pieno delle celebrazioni del carnevale ambrosiano, per cui, quando arrivi al Bloom di Mezzago, ti ritrovi in sala una trentina scarsa di persone e temi che possa restare così per tutta la sera.

Questi ed altri interessanti pensieri vengono alla mente mentre aspetti l’esibizione dei Giapponesi assaporando la one man band Dirk Serries Microphonics, poiché sul palco del locale brianzolo hai un chitarrista che, incappucciato come una versione street dei Sunn O))), non propone musica in senso proprio del termine, quanto una serie di distorsioni ed effetti di chiara matrice post atti a catturare al meglio l’ambiente in cui il buon Dirk si ritrova a suonare. Perfetto per introdurre il mood strumentale e dilatato della serata, l’unico pezzo proposto da Serries, per 15 minuti brevi ed intensi di esibizione, era più in linea, forse, con un’esposizione di arte moderna, in un contesto sì comunque live, ma maggiormente artistico. Invece, in un club come il Bloom è difficile riuscire a trovare complicità nell’ambiente, per cui ecco come ti ritrovi presto a porti le domande di cui sopra, senza troppo badare a quello che ti succede di fronte.

E mentre, al termine dell’esecuzione di Dirk Serries, i Mono aiutano la crew del Bloom ad allestire al meglio il piccolo ma agguerrito palco del locale, le fila del pubblico fortunatamente si ingrossano, e noi accerchiati sul davanti si rimane un po’ tutti incantati ad osservare la strumentazione in mano alla band: vissuta, lisa e piena di ammaccature che sembrano ognuna racchiudere una grande storia da raccontare. D’altronde, i Nostri non sono certo dei mestieranti, e gli oltre 10 anni di esperienza nel mondo della musica si riversano con inesorabile implacabilità al termine di una lunga, lunghissima, introduzione musicale, a cui segue l’opener dell’ultimo, immenso, “For My Parents”, ed ogni dubbio che hai sull’impatto minore che la band potrebbe avere senza un’orchestra viene spazzato via come steli di fieno di fronte ad un tremendo uragano. Già, perché mentre assisti inerme all’implacabile montare dei crescendo e dei riverberi – e, credetemi sulla parola: di riverberi ed armoniche di chitarra così potenti e penetranti raramente capita di sentirne in sede live – ti rendi conto che l’orchestra, per i Mono, non è quell’elemento fondamentale che l’illusione degli ultimi due dischi ti vendono. E’ incredibile: se immaginate di togliere l’orchestra ad un gruppo power-epic-symphonic-bombastic-vattelapesca rock/metal di qualsiasi tipo, facile che vi ritroviate per le orecchie con poco o niente, probabilmente semplici melodie, carine ma anche, in un qualche modo, vuote. Invece, coi Mono succede che le chitarre sopperiscono totalmente alla mancanza degli archi, costruendo quel muro di armonia che diviene, semplicemente, impenetrabile, e con un Takaakira Goto che, posseduto da feroci spiriti millenari man mano i diversi brani della band montano i loro interminabili crescendo, si rivela essere il miglior chitarrista post-rock in circolazione, un uomo che, da solo, riesce a comandare lo scorrere fluido della band, dettando tempi ed umori.

Ed ecco che una scaletta imperniata stoicamente quasi totalmente su “Hymn To The Immortal Wind” e “For My Parents”, risulta comunque imponente e sinfonica, nonostante di orchestra non vi fosse minimamente ombra, se non qualche sparuto e furbo campionamento che, tuttavia, veniva immediatamente risucchiato dalla partecipe esecuzione della band. Oltremodo splendido, infine, osservare il pubblico che non conosceva la band – i morosi delle alternative girls soprattutto – venire trascinati dall’onda sonora dei Mono, incapaci di restare fermi sulle loro posizioni durante l’urlo nella chitarra di Goto a simulare la tempesta su “Pure As Snow”, o sul crescendo epico e melodico di “Unseen Harbor” in cui affogare è superbamente dolce.

Perché assistere ad un concerto dei Mono è un po’ come immergere i piedi in un basso, tranquillo e confortevole mare, con l’acqua tiepida e frizzante a lambire dapprima dolcemente le caviglie, salvo quindi ingrossarsi senza preavviso alcuno in una marea che, cingendoti alla cinta, comincia a trascinarti lontano dalla riva per poi, come i più devastanti degli Tsunami, sbatterti nuovamente sulla costa, sulla cresta di un’onda che è destinata a devastare tutto il tuo animo. E per questo incredibile miracolo di scioglimento e ricomposizione del nostro essere sull’onda di un potente riverbero durato un’ora e quarantacinque minuti, noi rendiamo grazie.

E’ stato incredibile ed indimenticabile, signori. “Incredibile” ed “indimenticabile” sono due aggettivi che raramente si spendono su un concerto.

Setlist Mono:

01. Legend
02. Nostalgia
03. Dream Odyssey
04. Pure As Snow (Trails Of The Winter Storm)
05. Follow The Map
06. Unseen Harbor
07. Ashes In The Snow
08. Halcyon (Beautiful Days)
09. Everlasting Light



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