Mono
For My Parents

2012, Temporary Residence Limited
Post Rock

Il nuovo nato della band nipponica travolge ed emoziona
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 10/09/12

Spesso, nella critica si suole definire il nuovo disco di una band come “il nuovo nato”, un sinonimo elegante che, tuttavia, per quanto riguarda l’ultimo inciso del quartetto nipponico Mono assume un valore più che simbolico. Non ci riferiamo ad un senso di famigliarità espresso in modo lampante nel titolo (una dedica sentita dai membri della band ai loro genitori, per ringraziarli della loro esistenza): il rapporto che lega “For My Parents” allo scorso “Hymn To The Immortal Wind” è più sottilmente sottinteso anche nella cover del lavoro e, più corposamente, nella proposta sonora.

Togliamoci subito il sasso dalla scarpa: qui non c’è il notevole balzo qualitativo in avanti fatto registrare dalla band tra “You Are There” ed il già citato scorso disco, tuttavia le differenze – seppur minimali – rispetto ad “Hymn To The Immortal Wind” ci sono: una certa predisposizione alla struttura sinfonica in movimenti ben avvertibili in sede di composizione (che si traduce in brani molto lunghi: il più breve ne dura otto, il più lungo quattordici), ed il fatto che l’orchestra per i Mono non è più un orpello in grado di abbellire la loro musica, ma un elemento portante e fondamentale. Tuttavia, pelo nell’uovo critico: questo “For My Parents” non è altro che un more of the same in cui ritroviamo il gusto occidentale del post rock dei Mono abbracciare con decisione il vento della moderna musica da camera dell’est. Eppure, al contempo, è anche nuovo capolavoro per la band, il nuovo punto di paragone su cui soppesare una carriera oramai più che decennale, e come ciò sia possibile è dovuto unicamente all’incredibile capacità di emozionare che hanno le cinque gemme incise su questo disco.

Innanzitutto, composizioni sì molto lunghe, eppure incredibilmente scorrevoli, quasi cantabili nelle loro melodie cristalline; poi, lo straordinario tocco della band, che si traduce in una musica in grado di destabilizzare a fondo l’animo dell’ascoltatore con disarmante semplicità ed eleganza tipicamente nipponiche. Come i quattro minuti finali dell’iniziale “Legend”, che non solo sono uno di quei crescendo che si vorrebbero non terminare mai (fino anche alla completa devastazione delle casse del nostro impianto audio e – con esse – del nostro più intimo essere), ma anche un ammasso di note per cui diviene, all’improvviso, più grata la vita; come lo struggimento più puro e sincero che coglie  il nervo rock di “Nostalgia”, o la calma epica e cinematografica della conclusiva “A Quiet Place (Together We Go)”.

I Mono, con questa ennesima opera strumentale, ribadiscono con fermezza il loro essere in arte, e seppure ci sia voluto molto per arrivare a questi livelli (“For My Parents” è il loro sesto in discografia), oramai noi critici inesorabilmente dobbiamo affermare che, quando vogliamo parlare di post rock di qualità, non dobbiamo più solo guardare al fascino esoterico delle lande islandesi e al tecnicismo di un’America o di una Inghilterra, ma dobbiamo anche cominciare a pensare seriamente al vento emozionante che spira con decisione dal Giappone. Come uno di quei crescendo tanto cari ai Mono, le capacità dei Nostri sono andate via via incrementando man mano si prosegue lungo l’asse del tempo, e se il caterpillar dei Sigur Rós vi ha sottilmente lasciato dispersi in un cosmico mare di grigiastro nulla, la rossa linfa vitale che sgorga copiosa da questo inciso saprà rivitalizzarvi a dovere.

Bentornati Mono, e grazie.




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