Amplifier + Charlie Barnes
06/05/13 - Officine Creative Ansaldo, Milano


Articolo a cura di Alberto Battaglia

La scena, una volta entrati, è questa: un folletto scalzo con la chitarra acustica in mezzo al pubblico, che gli fa cerchio attorno. Il giovane chiarrista inizia poi a suonare, muovendosi al ritmo dei suoi accordi che sembrano risuonargli in ogni vena; canta senza nessun tipo di amplificazione battendo il piede a tempo come una mazza. Sembra un menestrello popolare, un giramondo sognatore e man mano che la sua aria lirica coinvolge tutti i presenti questi iniziano ad accompagnarlo col battimani. Finisce la canzone, che si chiamava "Sing to God". Applausi. Poi sale sul palco e tutti comprendono che non si tratta di un'incursione clandestina, come sarebbe stato lecito supporre, bensì dell'artista d'apertura. Costui è Charlie Barnes, merita qualche riga di questo articolo dedicato al concerto degli Amplifier, perché, senza nulla togliere al resto, la vera rivelazione della serata di ieri è stata proprio lui.


Scoperto dalla band di Manchester, Barnes ha suonato il piano nell'album "The Octopus" e ora viene al seguito del loro tour in qualità di session man polistrumentista; ha pubblicato già il suo album di debutto nel 2010 ("Geekk"). Dopo la sua già emozionante performance unplugged dal lirismo folk Charlie mette in scena alcuni effetti sonori e scenici davvero di grande effetto: una volta sul palco userà il loop per registrare sul momento alcune basi ritmiche create direttamente con le sue mani percuotendo ora il microfono come un bongo o sovrapponendo la registrazione di alcuni ritmi prodotti vocalmente. Se questa non è una trovata in sé originale, originali sono però gli effetti che Barnes ottiene con questo semplice metodo. Altro punto di forza del giovane inglese è la sua voce, evidentemente derivata dai modelli di Thom Yorke (Radiohead) e di Matt Bellamy (Muse), ma comunque sorprendente nei suoi passaggi fra falsetto e voce piena. Le persone presenti erano poche, ma, al termine dell'esibizione, conquistate dalla prima all'ultima.


Quando arriva il turno degli Amplifier ci rendiamo conto che accorso alle Officine Creative Ansaldo c'è un pubblico ancora ridotto: una cinquantina di persone che si riveleranno, comunque, molto calorose. Una musica non proprio per tutti, infatti, quella dei Nostri: atmosfere cupe, dense, che si protraggono per molti minuti e che investono lo spettatore come una nebulosa sulfurea. La natura dei brani possiede sia la ciclicità ipnotica della psichedelia sia l'impeto sonoro del metal, la costruzione razionale prog, ma priva di esibizionismi. Dal vivo gli Amplifier dimostrano di tenere maggiormente all'aspetto rock che a quello atmosferico: ogni canzone viene quindi indurita e incattivita notevolmente. L'effetto iniziale di questa scelta è abrasivo e coinvolgente al 100%; si parte da un filotto d'apertura che decolla benissimo sulle acide e granitiche note di "Mary Rose" e che prosegue sulla stessa linea con la octopussiana "The Wave". Notiamo come la qualità del sound risiede più nella resa d'insieme che nella capacità dei singoli elementi: non ci sono momenti in cui lo spettatore resta spiazzato da cambi di tempo o da altri "elementi tecnici", e sono altresì quasi banditi anche gli assoli e le svisature. Questa scelta si unisce alla vigoria degli arrangiamenti live in completo favore dell'abbandono razionale e a detrimento dei dettagli che invece si apprezzerebbero con un ascolto più lucido. Tutto il concerto seguirà queste coordinate senza cambi di rotta, alternando vuoti spaziali ad attacchi frontali secondo uno schema collaudato che però, a nostro avviso, perde un po' di smalto ogni volta che viene ripetuto. Per fortuna il canzoniere della band contiene molte perle, estratte in modo bilanciato per la scaletta della serata, nella quale l'ultimo "Echo Street" fa bellissima figura al fianco delle composizioni provenienti da "Octopus".


L'avvicinarsi della mezzanotte, l'ora prescritta dal vituperato vicinato per la chiusura delle ostilità, è l'unica cosa in grado di convincere Balamir e soci a deporre gli strumenti che, altrimenti, non cesserebbero mai di dimenare coi loro vorticosi accordi. Come affermavano ai nostri microfoni qualche tempo fa gli Amplifier hanno una visione dilatata della forma compositiva: vorrebbero creare giri armonici in grado di suonare in eterno, perfetti. Si vede chiaramente che il tentativo è quello sentendli, ma a tale perfezione, almeno dal vivo, non sono ancora arrivati a causa di qualche eccesso e di qualche ripetitività di troppo. Ad ogni modo il pronostico che figurava uno show di alto livello è stato ampiamente rispettato.




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool