Transatlantic World Tour 2014
02/03/14 - Alcatraz, Milano


Articolo a cura di Stefano Risso

“We bring back prog music to Italy”. Se dovessimo dare un titolo alla serata potremmo usare le parole che il “mattatore” Mike Portnoy ha rivolto al pubblico in sala durante le prime fasi del concerto di ieri sera. Il nostro si era soffermato chiedendo ai presenti se il prog fosse nato davvero in Italia o, come secondo alcuni, fosse di provenienza inglese… Non riuscendo per ovvie ragioni a dare pronta risposta, il batterista ha chiosato appunto con la frase sopra, come a voler mettere tutti d’accordo, riunire tutti gli spettatori sotto un’unica grande passione all’insegna della buona musica.

Se infatti già su disco si distingue questa vitalità nata dalla perfetta coesione dei quattro musicisti titolari, dal vivo la loro “mission” è ancora più evidente. Assistere a un concerto dei Transatlantic è per prima cosa passare una bella serata, condividere la grande energia positiva espressa dai protagonisti, emozionarsi, e solo dopo ci si accorge del grandissimo tasso tecnico mostrato, della difficoltà dell’esecuzione e della perfezione di ciò che viene proposto. “Sarà un lungo concerto, con lunghe canzoni, preparatevi…”, è sempre Portnoy a dettare le danze, avvisando un pubblico già perfettamente conscio della durata generosissima dello show, facendo risaltare un’altra caratteristica della performance, ovvero la capacità di non accorgersi quasi del tempo trascorso. Tanto è alta l’attenzione e il coinvolgimento che le mezz’ore rischiano di volare in un lampo, come accaduto con “Into the Blue”, estratta dall’ultimo album “Kaleidoscope”, scelta per inaugurare la setlist. Si da un’occhiata all’orologio per segnare l’inizio della serata, 20.30 precise, e quando lo si butta la seconda volta a fine canzone sono già le 21.00.

 

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Due ore e quaranta abbondanti, un po’ meno rispetto alle tre ore “annunciate” per questo tour, ma poco importa, un successo su tutta la linea. Un Alcatraz in versione palco B, un’ottima affluenza di pubblico, sì numeroso ma non “strabordante”, una volta tanto educato e perfettamente cucito addosso alla band sul palco (del resto vista l’età media “matura” c’era da aspettarselo). Una scaletta che ha giustamente omaggiato “Kaleidoscope” con l’opener, la conclusiva e altrettanto lunga omonima e le ballate “Shine” e “Beyond The Sun” a impreziosire i tre momenti di maggior raccoglimento in cui l’immancabile “We All Need Some Light” (preceduta dalla solita jam di Morse e Stolt) ha fatto la parte del leone, semplicemente da pelle d’oca, come sempre. Piccola considerazione sui nuovi brani eseguiti: “Kaleidoscope” non ci aveva impressionato eccessivamente, ma bisogna ammettere che la resa live dei nuovi brani, leggermente rielaborati e irrobustiti, ha decisamente convinto, pur mostrando sempre una marcia in meno col resto della discografia.

 

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Una leggera rielaborazione che ha toccato anche pezzi storici come "My New World" (dal debutto “SMPT:e”), “Is It Really Happening?” (da “The Whirlwind”) o “All of the Above”, donando quel tocco di imprevedibilità, specialmente negli interventi solisti di Roine Stolt, per un pubblico talmente attendo e devoto (o che si è studiato le setlist precedenti) da anticipare a volte i pezzi da eseguire, vedi il simpatico siparietto prima di “Shine”, in cui Morse non appena imbraccia la chitarra non fa in tempo ad annunciare il brano incalzato perchè dalle prime fila… Grande sorriso e battuta d’ordinanza: “Non ci sono più segreti ormai… L’avrete sicuramente già sentita giusto?”. Ecco, questo è forse l’aspetto più significativo dell’intera esibizione, il contatto umano tra i musicisti sul palco e il pubblico, un continuo scambio di accenni, battute, saluti, sorrisi, che ha donato quel fascino, quel calore in più che ha elevato tutta l’esibizione. Seppur fermi nelle rispettive posizioni, a ben vedere il più mobile è stato il “capocomico” Portnoy (suonando seduto, in piedi, e persino attorno la batteria, dettando anche il ritmo dei cori del pubblico), i nostri sono comunque riusciti a raggiungere tutti dalla prima fila a quelli in balconata, forti di un carisma e di una consapevolezza dei propri mezzi da non avere bisogno di grandi scenografie (solo un classico proiettore alle spalle) e nè di trovate eccessivamente spettacolari.

 

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Del resto per musicisti come Morse, Portnoy, Stolt, Trewavas e il quinto touring member Ted Leonard (in sostituzione di Daniel Gildenlöw, ancorain ospedale causa infezione da streptococco) è quasi inutile sottolinearne la bravura, basta osservarli e anche un profano verrebbe sicuramente rapito dalla magia che i cinque riescono a creare, giostrandosi tra canzoni spesso lunghissime e complesse con una naturalezza e leggerezza uniche. Una serata da ricordare a lungo, una vera “prog night” che avrà rinvigorito il ricordo del concerto di un anno fa con il “Transatlantic Encore” per i più affezionati o avrà ammaliato chi li gustava live per la prima volta. Quando la classe parla da sola, giù il cappello.




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