The Gaslight Anthem
Handwritten

2012, Mercury Records
Rock

Niente di nuovo nel quarto disco dei Gaslight Anthem, "Handwritten".
Recensione di Alessandra Leoni - Pubblicata in data: 24/07/12

I Gaslight Anthem sono giunti al loro quarto album in pochi anni - il quarto in cinque anni - e in questo caso, "Handwritten" è pubblicato dalla Mercury Records. I Nostri sono approdati ad una major, apparendo nel roster assieme, per esempio, agli Arcade Fire, The Killers, U2, Mark Knopfler... Ma questo non vuol dire affatto che il disco sia rivoluzionario, innovativo, totalmente differente da quanto fatto in passato.


Per stessa ammissione del batterista Benny Horowitz, nell'intervista che potete leggere sulle nostre pagine, la band americana non si è discostata molto da quanto fatto in passato - anzi, un forte legame con esso è rappresentato dalla dura e pura "Howl", dove per qualche attimo si ritorna indietro ai bei tempi andati di "Sink Or Swim" - ma ha cercato una certa continuità, sicuramente cercando di migliorare il songwriting, rendendolo più accattivante ed orecchiabile, come in "45" e "Here Comes My Man", e tentando di migliorare la produzione. Migliorati questi due aspetti, che cosa rimane da dire su "Handwritten"?


Non molto, temo. Certamente, il cantato di Brian Fallon rimane uno dei più gradevoli e potenti degli ultimi anni, per quanto riguarda il panorama punk rock, ed è estremamente bello sentirlo cantare nei ritornelli tutti quei "hey hey hey", perché inducono l'ascoltatore a partecipare a quei cori solari e spensierati; ed è senz'altro toccante sentire Fallon dare il meglio di sé nelle ballate, ovvero "Keepsake" e "Too Much Blood", che smorzano il ritmo trascinante del full-length. Un appunto da fare è sicuramente per la cospicua presenza di ballate: sono decisamente troppe. Per quanto bella sia pure "Mae", trovarsi di fronte anche a "Biloxi Parish" o "Desire", o all'acustica "National Anthem", che va a chiudere l'album, è decisamente troppo. Sarebbe stato meglio mettere nella tracklist brani più decisi, sapientemente alternati a quelli più lenti.

 

Nulla toglie che questo "Handwritten" sia un prodotto discreto, ben suonato e ben eseguito, che vanta una produzione migliore rispetto ai predecessori. Però, se i primi tre brani fanno sperare in un disco grintoso ed energico, purtroppo proseguendo negli ascolti ci si rende conto che la presenza di troppe canzoni lente non fanno decollare il lavoro. Peccato, perché alla fine i Gaslight Anthem non escono dal seminato, utilizzando delle formule già utilizzate nei precedenti lavori ed omaggiando gli artisti che da sempre li influenzano - non avete sbagliato se avete sentito rimandi a Bruce Springsteen, tra un brano e l'altro. Se loro sono contenti così...





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