"American Slang" è obiettivamente al di sotto dei precedenti lavori ma non per questo disprezzabile. Il marchio di fabbrica persiste in modo indelebile, ma non è una pecca, certo ci si aspetterebbe più personalità da un gruppo non più novello ma il gioco piace ancora molto. Dicevamo, essenzialmente non possiamo discutere di evoluzioni sostanziali, i brani, dall'iniziale "American Slang", rallentano i tempi strizzando sempre più l'occhio al folk americano e al rock da stadio. "Stay Lucky" riporta alla mente le prime produzioni dei The Gaslight Anthem, punk rock proletario con il solito nume ispiratore, quasi vicino al plagio con la bella "Bring It On" che mette ben in evidenza le doti vocali di Brian Fallon. E' una raccolta cantata, anzi da cantare, brani che suonati da soli non sanno di niente, dove il singolo senza il gruppo non conta assolutamente nulla. Allora sembra d'immaginare già la gente assiepata e delirante sotto il palco che intona inni come l'elettrica "Orphans" o le interessanti varianti ritmiche di "The Queen Of Lower Chelsea", sarebbe piaciuta molto al buon vecchio Joe Strummer.
Ci si può interrogare su quanto di buono possano dire band del genere, ma mi viene da pensare che piuttosto che miriadi di gruppi musicali senza talento spacciati per artisti eclettici e pseudo avanguardisti, meglio dei rockettari come i The Gaslight Anthem. "The Spirit Of Jazz" (sogno o son desto, potrebbe essere una cover punk dei Cure) e la ballata strappa mutande "We Did It When We Were Young" ci fanno tirare le somme: buon disco, gruppo onesto al 100%. Fate quello che volete, scimmiottano Springsteen in salsa punk e non li volete ascoltare? Fatti vostri, io premo play e mi riascolto questo "American Slang".