Threshold
March Of Progress

2012, Nuclear Blast
Prog Metal

Se “Dead Reckoning” giungeva dritto alle orecchie, “March Of Progress” tocca le corde del cuore
Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 03/09/12

Il “non ti curar di loro, ma guarda e passa” di dantesca memoria sarà anche una citazione scontata, ma è quella che meglio riassume carriera e attitudine dei britannici Threshold, band che ha contribuito in maniera significativa alla causa del metal progressive sin dai primi anni ‘90. La scommessa del chitarrista Karl Groom era quella di sintetizzare con gusto ed eleganza progressive, metal classico e influenze thrash; una scommessa vinta su tutta la linea, cui si aggiunge il merito di aver reso accessibile un genere che, almeno nella sua accezione più comune, proprio accessibile non è. Tutto è andato, si capisce, a discapito di un pubblico più ampio, ma grazie a una rara professionalità la band è riuscita a guadagnare le attenzioni della critica, di un pubblico di fedelissimi e non ultima, della Nuclear Blast, etichetta sulla cui professionalità non si discute ma storicamente diffidente verso questo genere musicale. La tragica dipartita dell’ex vocalist Andrew “Mac” McDermott, prematuramente scomparso nell’estate del 2011 a soli quarantacinque anni quando già era fuori dalla band, ha letteralmente squarciato il silenzio dei cinque anni che separano March Of Progress dal suo predecessore, un lungo periodo di calma apparente dedicato per lo più a progetti paralleli. Ogni lutto si sa, richiede tempo per essere metabolizzato e superato, McDermott oltre ad essere stato per dieci anni la voce del gruppo, era stato un caro amico della band. Pur nella drammaticità degli eventi, i Threshold sono riusciti a non perdere speranza e ispirazione, traendo la forza necessaria per un disco che ancora una volta riscuoterà consensi unanimi.

La farfalla ritratta nella splendida copertina sembra proprio simboleggiare questo percorso di rinascita. “March Of Progress” non è solo l’ennesima lezione di stile da parte di una band in debito di popolarità rispetto ai meriti effettivi, “March Of Progress” è il ritratto di come dovrebbe sempre suonare un disco progressive spogliato di inutili autoindulgenze. Il nono capitolo del combo britannico registra gli innesti definitivi del figliol prodigo Damian Wilson e del chitarrista Peter Morten, entrambi stabilmente in formazione già dal 2007. L’apripista “Ashes” riprende il discorso interrotto con il lavoro precedente ricalcando i contorni di pezzi come “Slipstream” e “This Is Your Life”. I cinque anni che ci separano da “Dead Reckoning” proprio non si sentono e i tasselli che compongono il mosaico sonoro della band sembrano essere ancora quelli, le melodie “celesti”, i riff di derivazione thrash, gli avvolgenti assoli di Karl Groom, ma già dalla successiva “Return Of The Thought Police” il disco rivela la sua vera natura, fatta di tempi “ragionati” e arrangiamenti marcatamente keyboard oriented. Tanta è la curiosità attorno alla voce di Damian Wilson, un vocalist che meritava maggior fortuna la cui versatilità consente alla band di allargare i cordoni della sperimentazione. Wilson regala una prestazione letteralmente da spellarsi le mani che vede il suo momento migliore nel climax crescente di “Colophon” senza peraltro pregiudicare, soprattutto nella seconda parte del disco, il gusto per le melodie ad effetto che hanno fatto la fortuna della band, spingendosi persino verso una atipica solarità (“Don’t Look Down”). Il gran lavoro di Richard West alle tastiere di cui dicevamo culmina invece nella sontuosa “Rubicon”, una suite posta a conclusione del disco come un autentico sigillo, degna erede della splendida “Narcissus”. Meritano una citazione i versi conclusivi della struggente “Coda”, breve ma toccante tributo della band al compianto Mac, parole che valgono più di qualunque esercizio retorico. Il sound dei Threshold non esce dunque stravolto da questa piccola rivoluzione, ne esce semmai arricchito grazie a un Damian Wilson in forma strepitosa e chissà che con il suo rientro, la band non riesca a riprendere il discorso interrotto con “Extinct Istinct” (1997) e guadagnare finalmente il successo che si merita.
 
Insomma, se li avete apprezzati in passato questo lavoro suggellerà in maniera definitiva il vostro sodalizio, se invece non avete mai prestato attenzione alla band inglese questa potrebbe essere un’ottima occasione, ma diciamo pure l’ennesima, di ascoltarla in una delle sue versioni più ispirate. Se “Dead Reckoning” giungeva dritto alle orecchie, “March Of Progress” tocca le corde del cuore e come tutte le cose ad alto impatto emozionale, richiede qualche ascolto in più. Per il sottoscritto,la band resta uno dei casi musicali più inspiegabili dell’intera scena metal, uno dei pochi esempi di stile riconoscibile fra tanti, insomma, di motivi per smettere di ignorarli ce ne sono in abbondanza, perseverare sarebbe davvero un’ingiustizia.




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