Il sodalizio personale con i Threshold risale a oltre dieci anni fa ed è figlio dell’ascolto di “Hypothetical” (2001), disco che aprì al sottoscritto un nuovo modo di intendere un genere sempre alla ricerca di nuove soluzioni. “For The Journey” esce un po’ a sorpresa a breve distanza dal suo predecessore, fatto questo che costituisce una novità per la band inglese, abituata a lasciar passare del tempo fra una release e l’altra. Col senno di poi bisogna ammettere a malincuore che la scelta non è stata poi azzeccata. Il disco si assesta infatti su livelli qualitativi discreti grazie alle qualità che da sempre contraddistinguono il combo inglese, sound e produzione brillanti e attuali, melodie ariose accompagnate da serratissimi riff, senza tuttavia rinnovare la magia e l’imprevedibilità che hanno caratterizzato le precedenti pubblicazioni.
A livello stilistico i punti di contatto con “March Of Progress” non sono pochi, considerato il breve lasso di tempo fra i due dischi e la line up, che è rimasta la medesima. Non vi sono brani che spiccano, “Watchtower On The Moon” è una rielaborazione di “Ashes” e “Don’t Look Down”, e l’incedere possente di “Turn To Dust” non è sufficiente a renderla più interessante del dovuto. Discorso a parte meritano invece “The Box” e “Unorgiven” in cui la band, sospinta da un sempre convincente Demian Wilson, regala sprazzi di novità in particolare nelle vocals. Oltre a queste, soltanto “Autumn Red” cattura per un attimo l’attenzione dell’ascoltatore grazie al solito chorus accattivante, ma è davvero troppo poco. Buona parte dei contenuti di “For The Journey” rimandano ai due dischi precedenti senza tuttavia avere lo stesso livello di ispirazione, e non basta la prestazione maiuscola di Demian Wilson per gridare al miracolo come ai tempi di “Subsurface” o “Psychodelicatessen”. Resta la consolazione di poterli finalmente ammirare dal vivo nel mese di novembre, ma per il decimo disco in studio era forse lecito attendersi qualcosa di più. Peccato.
A livello stilistico i punti di contatto con “March Of Progress” non sono pochi, considerato il breve lasso di tempo fra i due dischi e la line up, che è rimasta la medesima. Non vi sono brani che spiccano, “Watchtower On The Moon” è una rielaborazione di “Ashes” e “Don’t Look Down”, e l’incedere possente di “Turn To Dust” non è sufficiente a renderla più interessante del dovuto. Discorso a parte meritano invece “The Box” e “Unorgiven” in cui la band, sospinta da un sempre convincente Demian Wilson, regala sprazzi di novità in particolare nelle vocals. Oltre a queste, soltanto “Autumn Red” cattura per un attimo l’attenzione dell’ascoltatore grazie al solito chorus accattivante, ma è davvero troppo poco. Buona parte dei contenuti di “For The Journey” rimandano ai due dischi precedenti senza tuttavia avere lo stesso livello di ispirazione, e non basta la prestazione maiuscola di Demian Wilson per gridare al miracolo come ai tempi di “Subsurface” o “Psychodelicatessen”. Resta la consolazione di poterli finalmente ammirare dal vivo nel mese di novembre, ma per il decimo disco in studio era forse lecito attendersi qualcosa di più. Peccato.