L’impegno e il talento dei The Sword sono stati premiati negli anni con una continua ascesa in termini di popolarità e nelle classifiche che contano. “Warp Riders” ha portato una ventata di aria fresca nella scena rock/heavy attuale, pur non inventando nulla, ma travolgendo l’ascoltatore con un sound familiare, potente e diretto che usciva dalle casse con un vigore e una qualità davvero importanti. Esce ora il quarto parto discografico, “Apocryphon”, e la domanda è: i nostri hanno ripetuto il “miracolo”?
No. Mettiamo subito i puntini sulle i, doveroso quando si affronta il seguito di un lavoro particolarmente indovinato. “Warp Riders” è là in cima e lasciamolo in pace. Scendiamo di un gradino e affrontiamo il discorso di “Apocryphon”: un bel disco di una grande band, stop. Potrebbe anche bastare visto il livello delle uscite odierne, ma un piccolo disappunto ahinoi rimane, perchè la speranza è quella di avere per le mani album sempre migliori. Non dovremmo neanche dirlo ma la formula dei The Sword non è cambiata di un millimetro, quello che caratterizza il nuovo disco sono sfumature, una maggiore propensione verso i mid tempo, un sound forse più granitico e meno filante, ma i capisaldi dei nostri sono sempre quelli.
Black Sabbath su tutti, poi tanto stoner, spunti doom (rigorosamente in ordine di importanza) e quel pizzico di influenze southern a giustificarne la provenienza (Austin, Texas) e la messa in commercio di una salsa piccante creata ad hoc dalla band. Un album “riffocentrico”, che ruota unicamente attorno ai numerosi (e spesso spettacolari) riffoni di Cronise e Shutt, carico di brani semplici e diretti in cui però, prendendo in prestito quanto scritto per “Warp Risers”, non “vieni investito da una bufera sonora che ti fa sentire come se ti avessero piazzato accanto ai reattori di uno shuttle. In fase di decollo.” È come se mancasse quella scintilla, quel quid in più che con gli stessi ingredienti aveva permesso di sfornare un piccolo capolavoro appena due anni fa.
Diciamo che senza essere troppo schizzinosi “Apocryphon” vi accompagnerà per tante ore di ascolto, sebbene manchino anche i classici pezzi strumentali ormai marchio di fabbrica dei The Sword. A mancare qui poi è il batterista storico Kevin Fender, ben sostituito da Santiago Vela e un concept. Abbandonato il tema sci-fi del precedente, in “Apocryphon” non sembra esserci un argomento dominante, ma testi che vertono su un unico argomento senza andare a formare un concept vero e proprio, almeno secondo quello che dicono i nostri. Al di là di tutto, un disco riuscito, facile e piacevole da ascoltare, non il migliore della discografia, ma quanto basta a farvi godere le orecchie.
The Sword
Apocryphon
2012, Razor & Tie
Stoner
01. The Veil of Isis
02. Cloak of Feathers
03. Arcane Montane
04. The Hidden Masters
05. Dying Earth
06. Execrator
07. Seven Sisters
08. Hawks & Serpents
09. Eyes of the Stormwitch
10. Apocryphon