Origin
Antithesis

2008, Relapse Records
Death Metal

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 29/03/09

Semplicemente inarrivabili. La macchina Origin ha ripreso a devastare a pieno regime dopo tre anni difficili, passati quasi in silenzio, tra dipartite e ritorni alla casa madre, in cui i nostri erano ricomparsi sulle labbra di stampa e pubblico unicamente per via riflessa, dopo la nascita della costola Unmerciful. Ma se la pazienza è la virtù dei forti, allora ne è valsa la pena attendere speranzosi il ritorno di James Lee e compagni, con un album destinato a rimanere negli annali del genere, marcando ancor di più il divario tra gli Origin e il resto del mondo.

Antithesis si pone perfettamente all'interno del percorso iniziato otto anni fa: inaugurazione con un debutto ancora un po' acerbo ma gia davanti a praticamente tutto l'underground dell'epoca, si prosegue con Informis Infinitas Inhumanitas, dove si registra la piena presa di coscienza della band, con un album dalla ferocia ineguagliabile, per arrivare a Echoes of Decimation, dove gli Origin riescono a dare maggiore identità alle proprie canzoni attraverso strutture più ricercate. Antithesis rappresenta la completa maturazione della band, in cui i nostri sembrano essere finalmente padroni di tutto quello che serve per creare un disco il più prossimo alla perfezione, coniugando al meglio brutalità, abilità tecniche, e songwriting di alto livello, raggiungendo un equilibrio tra le parti che in passato non è mai stato così efficace.

Se da un lato Antithesis ci fa ritrovare gli Origin di sempre, spietati automi votati alla distruzione, freddi, distaccati e iperbrutali, dall'altro ci offre un'immagine inedita del combo americano, cioè quella di musicisti che non temono di perdere intensità con il progressivo evolversi delle proprie composizioni verso la forma canzone, non ancora delineata appieno, ma di cui si possono apprezzare i diversi momenti, in cui per la prima volta il raziocinio tipico della band si è leggermente spostato dalla modalità distruggi (i padiglioni auricolari), a costruisci brani più complessi, perfettamente distinguibili, e di maggior durata. Uno "switch-on" che sacrifica qualche secondo della velocità classica, in favore di schemi di maggior respiro e di break molto più pronunciati, dove un pizzico di frenesia viene persa per lasciare spazio a inediti e indovinatissimi slanci melodici. Ma niente paura, perchè la maggiore durata dell'album (quasi un disco doppio rispetto ai precedenti) permette ai nuovi elementi, tra cui ottimi assoli, di fondersi a meraviglia con il caratteristico trademark, lasciando il giusto spazio per atterrire gli ascoltatori con bordate inaudite, e al tempo stesso emozionare, trovando il tempo per essere anche epici... ascoltare Wrath of Vishnu per credere, o la sontuosa title-track, nove minuti in cui gli Origin danno una lezione a tutti coloro che negli ultimi tempi hanno percorso la via della brutalità e della tecnica fine a se stessa, dimostrando ancora una volta che non basta essere abili musicisti per creare ottima musica.

Ma dove siamo finiti? In che tempi viviamo? Gli Origin che provano emozioni e che si prodigano in "suite" di oltre nove minuti? Ebbene sì, Antithesis riesce dove altri hanno fallito, indicando che la corsa all'estremizzazione è possibile, se percorsa senza paraocchi e con intelligenza. Insieme a Diminishing Between Worlds, e Trivmvirate, l'album brutal death dell'anno, segno che un genere erroneamente bistrattato, spesso per partito preso, non ha mostrato ancora i propri confini.



01. The Aftermath

02. Algorithm

03. Consuming Misery

04. Wrath of Vishnu

05. Finite

06. The Appalling

07. Void

08. Ubiquitous

09. The Beyond Within

10. Antithesis

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool