Black Rebel Motorcycle Club
Beat The Devil's Tattoo

2010, V2
Alternative Rock

Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 08/09/10

Un po' garage, un po' noise, un po' acustici, un po' fuzz a manetta. I Black Rebel Motorcycle Club recuperano e aggiornano con una certa eleganza alcune sonorità sgorgate dalla psichedelia a cavallo tra anni ottanta e novanta. Un po' di tutto e un po' di niente dovremmo dire? No, perché in fondo non è la continuità delle soluzioni sonore a fare la personalità di una band, è la capacità di reinventarsi senza tradire la propria personalità. E quell'attitudine a loro non manca proprio. Certo, i nostri hanno avuto ottimi maestri anche nel maturare quel fare un po' svagato che è il loro marchio di fabbrica; molti infatti hanno voluto vedere in loro gli eredi più illustri dei Jesus and Mary Chain. Infatti, pur essendo per due terzi americani il loro suono sembra  britannico in molti frangenti: la passione che unì Peter Hayes  a Robert Levon Been è, non per niente, lo shoegaze d'oltremanica (Ride, Loop...). E si sente. Mentre è nei momenti più acustici che l'anima agreste del folk americano fiorisce nel bouquet sonoro del trio.  

"Beat The Devil's Tattoo" è un album misurato bene, un disco che arriva subito al dunque: niente svarioni psichedelici, una discreta componente melodica, ma soprattutto un pugno di canzoni dal piglio accattivante e assai godibili. Ecco le impennate di questa motocicletta. Apre la titletrack, con un tema che entra nel cervello all'istante (anche con troppa invasività); sembra di aprire le ante di un saloon e di sentire addirittura il tintinnio degli stivali.  A patto di accettarne la cadenza ripetitiva, il brano è un apertura originale e gradevole. Dopo il garage rock di "Conscience Killer" ci attende il brano migliore del lotto. "Bad Blood" è innanzitutto una summa dei migliori suoni espressi da questo genere: espanse e vaporose chitarre, con effetti molto ben calibrati e suggestivi, linee di basso efficacissime. Aggiungiamo una degna parte vocale ed ecco a noi uno dei migliori esempi di noise pop. Ma ecco l'anima acustica dei Nostri accarezzarci con "Sweet Feeling": chitarra, armonica a bocca e poco più; la povertà di mezzi in canzoni come questa va a tutto vantaggio dell'immedesimazione emotiva. Della stessa stoffa è l'altrettanto toccante "The Toll", nella quale l'aggiunta di una voce femminile riporta alla mente i duetti fra Bob Dylan e Joan Baez. I fremiti noise si riaccendono con l'omaggio assoluto ai Jesus and Mary Chain di "Shadow's Keeper" e soprattutto nella fluviale chiusura da dieci minuti di "Half State", nella quale spadroneggiano echi e riverberi sovrapposti e un trascinante effetto wah-wah.

A parte qualche sparsa perdita di mordente, il bilancio non può che essere positivo: disco non fondamentale, ma comunque un ottimo acquisto, molto accessibile anche per chi non è un habitué di questo genere.



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