Blue Oyster Cult
Fire Of Unknown Origin

1981, Columbia Records
Hard Rock

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 01/10/10

Tante volte si compie l'errore di identificare un gruppo con una canzone, che magari è sì servita a portare la band alla ribalta e a farla conoscere dal grande pubblico, ma che, dall'altro lato, ne è stata la dannazione, mettendole quasi un cartellino addosso. Se io dico “Blue Öyster Cult” immagino che ai più venga automatico rispondere “Ah sì quelli di Don't Fear The Reaper!”... Giustamente, anche se a dirla tutta non è stato l'unico singolo che, radiofonicamente parlando, è servito ai newyorkesi per emergere. Ad ogni modo i Nostri sono, non so per quale motivo, abbastanza sconosciuti e sottovalutati dai più, e ciò ha oltremodo contribuito a creare intorno a loro un alone mistico, da band di culto appunto. Alone questo che era già ben presente nei testi del gruppo, brani dallo spiccato piglio dark e dal sapore fantascientifico, con un occhio di riguardo per extraterrestri, ufo, alieni, strane morti e quant'altro, abbinati a una base hard rock affascinante e tecnicamente molto ben suonata.

Fire Of Unknown Origin” rappresenta uno degli ultimi colpi di coda dei BÖC: uscito nel 1981 il disco ha due facce, abbina le sonorità misteriose, cupe e teatrali dei dischi degli anni Settanta (“Tyranny And Mutation” per esempio) con la spigliatezza melodica che i Nostri sono stati in grado di elaborare nel tempo. Ne viene fuori un lavoro più che buono, che ben si piazza nel contesto storico musicale (dark/new wave) nel quale è nato. Si inizia con la titletrack, e sono subito fuochi d'artificio: “Fire Of Unknown Origin” non lascia scampo, per quell'alchimia perfetta tra i vari strumenti, per il basso ritmato e corposo, le tastiere dalla grande atmosfera, la fantasiosa batteria, le chitarre immediatamente riconoscibili e le coinvolgenti interpretazioni vocaliche di Eric Bloom. Enfatica e di presa immediata, la canzone è, per facilità nell'essere ricordata, solo seconda alla successiva “Burnin' For You”. Si tratta questo di un brano fortemente radiofonico, un rock orecchiabilissimo che a suo tempo mieté tante vittime, e tutt'ora ne miete. Proseguendo nell'ascolto si rimane piacevolmente dalla creatività dei Nostri, che pur variando atmosfere e ritmiche continuano a inanellare canzoni vincenti: è questo il caso di “Veterans Of The Psychic Wars”, uno dei momenti più tesi e memorabili di tutto l'album, un vero e proprio trionfo ottenuto soprattutto grazie alle alienanti e gelide tastiere, al drumming marziale e a un cantato declamatorio e dimesso. Come non nominare poi “Vengeance (The Pact)”, “After Dark” (con quel suo incedere tipicamente ottantiano, brano dal quale, ne sono certo, molti gruppi del tempo avranno attinto), per arrivare infine alla teatrale “Joan Crawford” (altra punta di diamante dell'album, una specie di suite a sé stante dall'enorme pathos)?

Nel suono dei Blue Öyster Cult, almeno di questi Blue Öyster Cult (prima dei cambi di formazione) tutto è perfetto, tutto viaggia a gonfie vele in modo magico, ogni strumento è un ingranaggio ben oliato nella macchina messa su dai nostri. Questo “Fire Of Unknown Origin” è come anticipato uno degli ultimi album della band veramente degni di nota (dopo forse c'è solo “Imaginos”): non ne rappresenta il capolavoro assoluto, ma  va abbastanza vicino a esserlo. Di sicuro è uno tra i più equilibrati tra i lavori del gruppo,  in grado di unire le loro basi settantiane con le nuove ventate musicali che in quel periodo si stavano sviluppando; oltre a questo va detto che è un'opera godibilissima, per niente ostica a un ascolto superficiale ma sorprendentemente profonda,  articolata e ramificata se si comincia a scavare un po' sotto la sua corteccia. In tutti i casi, una band e un disco da riscoprire.




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