Cavalera Conspiracy
Blunt Force Trauma

2011, Roadrunner Records
Thrash

I fratelli Cavalera ci riprovano, ma con scarsi risultati. Purtroppo.
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 27/03/11

Come comportarsi col nuovo album dei Cavalera Conspiracy? Accantonare ogni spirito polemico e godere dell'ennesima pubblicazione Cavalera style, o armarsi di faccia tosta e dire le cose come stanno? Non sempre la verità sta nel mezzo, bisogna prendere una posizione, giusta o sbagliata che sia, si deve scegliere una linea di pensiero, sposarla e portarla avanti con coerenza.

Perdonate questo excursus personale, ma la prima cosa che mi è saltato in mente all'alba di “Inflikted”, il debutto dei brasiliani datato 2008, è stato chiedermi se ne avevamo davvero bisogno dei Cavalera Conspiracy, chiedermi il perché di un progetto simile. Nonostante sia cresciuto a pane e “Arise”, non mi sentivo uno di quei fan malinconici dei Sepultura che furono, quindi il riappacificamento dei due fratelli, Max e Igor, non rappresentava altro che una "Carrambata" o poco più, da sfruttare al meglio. Domanda che ho prontamente posto a Max in sede d'intervista (a breve sulle nostre pagine) a cui il nostro ha risposto in sostanza: “Avevo voglia di suonare con mio fratello, abbiamo fatto la pace. Avevamo voglia di divertirci”. Motivazione legittima, necessaria ma non sufficiente, a nostro avviso, per accogliere a braccia aperte questo nuovo progetto.

“Inflikted” ha sfruttato l'onda lunga del sentimento del ricordo, molto più sviluppato nei truci metallari che altrove (teneroni dal cuore chiodato e dalle orecchie foderate d'amianto), senza brillare dal punto di vista prettamente musicale. Abbiamo tra le mani ora il secondo album, “Blunt Force Trauma”, il più brutale, il più veloce, ecc... Insomma tra le tante sparate di Max c'è qualcosa di vero: chi ha apprezzato “Inflikted” apprezzerà anche “Blunt Force Trauma”. Domanda: ma chi ha apprezzato “Inflikted”? Nostalgici, adulatori e pochi altri. Categoria di ascoltatori che sicuramente troveranno in queste tracce “nuove di zecca” ulteriori motivi per amare ancor di più Max, deus ex machina di tutto. Sempre incazzatissimo, dalla voce abrasiva come non mai, sempre groovy, coi suoi riffoni circolari e quel sano thrash che, questo lo riconosciamo, solo lui sa esprimere. Se a tutto questo aggiungiamo l'apporto dietro le pelli del fratello Igor, o Iggor (come si fa chiamare ora), la certificazione di qualità è assicurata.

Se non lo avete ancora capito, la posizione di questo articolo è di chi non ha apprezzato il primo lavoro, né tanto meno cambierà idea con questo scialbo sequel. I motivi sono presto detti: tutto quanto sa già di vecchio al primo ascolto, mezz'ora di musica tirata fuori dal calderone made in Cavalera senza un briciolo di imprevedibilità, soluzioni che siamo soliti ascoltare da anni ed anni e che ormai si ripetono pedissequamente. Un album molto debole anche dal punto di vista della scrittura, uno con l'esperienza di Max probabilmente potrebbe tirare giù in dieci minuti brani come la title-track o l'imbarazzante “Torture”, davvero difficilmente tollerabili. Discorso analogo per i testi, non li abbiamo a disposizione, ma da quello che possiamo carpire, niente di nuovo nemmeno in questo ambito. Purtroppo la fase involutiva di Cavalera sta imboccando una strada senza ritorno... Se coi Soulfly riesce ancora a salvarsi, perdendo però sulla lunga distanza, tutto fa presupporre che tutta la produzione di Max subirà un livellamento verso il basso non consono a un tipo come lui. Come ripetuto in sede d'intervista, il nostro infatti compone senza badare all'una o all'altra band, scegliendo solo in un secondo momento cosa destinare ai Soulfly o ai Cavalera Conspiracy, accentuando i parallelismi pericolosi tra queste sue creature.

La cosa più preoccupante è che, nemmeno punzecchiato a dovere, il nostro si è scomposto, sostenendo di voler continuare a scrivere a ritmi vorticosi (ha già annunciato un album dei Soulfly nel 2012 e un probabile progetto con Greg Puciato) e che le differenze, piccole, ci sono e che va tutto bene così. Forse Max ha pienamente intuito i limiti del suo stile (ripetitività e poca longevità) e per non venire “dimenticato” si fa vivo ogni anno con qualcosa di nuovo; se fosse così sarebbe molto furbo, ma rischia di inficiare una carriera da primo della classe. Davvero, c'è poco da dire su “Blunt Force Trauma” sotto il profilo musicale, richiami su richiami, banalità, soliti anthem infuriati, in cui l'unica nota positiva è il lavoro alla chitarra solista di Marc Rizzo, ormai il vero motivo d'interesse negli album di Max.

Devo ammettere che mi spiace, l'uomo che ha contribuito a cambiare la vita musicale di milioni di ragazzi (sottoscritto compreso), non merita un autunno di carriera così crepuscolare. Io ho provato a dirglielo, con tutta la riverenza del caso, se non fosse il caso di fermarsi un po', ricaricare le pile e decidersi a fare album più solidi... Lui ha gentilmente declinato l'invito. Io non sono nessuno, ma qualcuno più vicino glielo dica, non può continuare in questo modo.



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