Cavalera Conspiracy
Psychosis

2017, Napalm Records
Thrash Metal

Attitudine, growling e il blasone delle passate glorie non bastano a redimere un album dal fiato corto, ripetitivo e mal prodotto. Passo falso per la band dei fratelli Cavalera
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 16/11/17

Max ed Igor Cavalera sono vecchie volpi. Da quando hanno appianato le controversie in casa sembra percorrano una linea temporale alternativa in cui non sono stati l'uno e, molto tempo dopo, l'altro ad andarsene dai Sepultura, ma tutti gli altri. Nato dieci anni fa, il progetto Cavalera Conspiracy  era partito dichiaratamente come un ritorno al passato, riveduto e corretto; tutto sommato il primo album - complice la presenza di John Duplantier dei Gojira - non aveva deluso le aspettative, ma già il successivo "Blunt Force Trauma" mostrava crepe. "Pandemonium" giocando la carta dell' "assalto grindcore" non aveva saputo fare meglio, penalizzato per di più da una pessima produzione, e le crepe aumentavano. Con questo "Psychosis", quarto lavoro dedicato - dice la band - al panico e agli stati psicotici dell'essere umano, purtroppo (e lo diciamo da vecchi affezionati dei fratelli di Belo Horizonte) i nodi vengono tutti al pettine. "Insane" e "Terror Tactics" situano scaltramente il disco nel panorama del generale ritorno all'old school degli ultimi anni, scelta che salta a piedi pari il NU metal - che pure Max ha bazzicato coi Soulfly, e Igor con i Sepultura 2.0. Senza dubbio, ciò a cui i nostri puntano è l'intensità del buon vecchio thrash anni '80, con fughe hardcore/death/black. Ma danno ciò che promettono? 

 

Sfortunatamente, felici momenti isolati (il riff centrale di "Terror Tactics", la cupa e trascinante "Judas Pariah", la title track strumentale, più vicina ai Soulfly che a "Roots", le dinamiche evocative della conclusiva "Excruciating") non redimono un album dal fiato corto, che ricicla a man bassa senza proporre davvero qualcosa di fresco e convincente. Freschezza non significa sperimentazione: non ci aspettiamo che nascano cavoli dalle mele. Conosciamo Max e sappiamo i suoi pregi e i suoi difetti, spesso perdoniamo i secondi alla luce dei primi, ma a tutto c'è un limite.

 

Le mancanza di idee è amplificata da scelte produttive bizzarre che, se inseguono un'improbabile "resa analogica" corretta dal digitale, falliscono in ambo le direzioni confezionando un suono ultrariverberato, opaco e povero di dinamiche; ci auguriamo che la band, per comporre «la colonna sonora della vostra peggiore malattia», come suggerisce la nota di etichetta, non si sia affidata solamente agli interminabili synthpad che concludono "Spectral War" (brano peraltro godibile) e introducono la successiva "Crom". O al flanger, così fine '80, in "Terror Tactics" e "Impalement Execution", o ai suoni al contrario all'inizio di "Spectral War", o ai tappeti di effetti di "Hellfire": espedienti che suonano come riempitivi. Dopo la bella prova data da Max nel progetto Killer Be Killed e il tour celebrativo dei vent'anni di "Roots" pensavamo di poterci aspettare qualcosina di più da questo nuovo lavoro. Ci auguriamo che i Cavalera Conspiracy tornino presto in carreggiata: non si può vivere in eterno sugli allori delle passate glorie o, volenti o nolenti, si mostra la corda.





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