Florence + The Machine
Ceremonials

2011, Island Records
Indie

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 31/10/11

C’era grande attesa dietro al ritorno discografico di Florence Welch e della sua Machine, un’aspettativa largamente giustificata da uno dei debutti commerciali più sfavillanti della terra d’Albione degli ultimi anni, uno di quelli non troppo smaccatamente sell-breaker da far perdere dignità artistica alla proposta, ma nemmeno noiosamente elitario e snob da apportare scarsa visibilità al progetto. Talmente perfetto e bilanciato l’exploit di “Lungs”, che Florence + The Machine è un nome che è divenuto presto un metro di paragone, identificato quasi come una sorta di responsabile della cosiddetta fascinazione retro-indie che pare andare tanto per la maggiore nel cantautorato pop ultimamente.

Senza dilungarsi ulteriormente in un discorso che coinvolgerebbe elementi ben più vasti - sia temporalmente che quantitativamente parlando rispetto ad un singolo disco d’esordio di una proposta accattivante quanto affascinante, vediamo cosa ci riserva il cerimoniale allestito dalla nostra cantautrice rosso crinita. Partiamo col dire che “Ceremonials” è un disco assai anomalo nella costruzione, riserva i pezzi più lenti e dilatati nella prima parte e, sebbene l’arpa e gli elementi tipici della musica della Machine siano immediatamente riconoscibili sin da “Only If For A Night”, l’incipit è assai tenue, tutto basato su crescendo di carattere prevalentemente gospel, fino a sfociare, occasionalmente, nel rock (“What The Water Gave Me”). Ad un primo ascolto, questa parrebbe essere una parte decisamente debole, troppo affetta dal cosiddetto effetto “post-uragano Adele” per poter essere apprezzabile a lungo. Ma  è tutto un illusione, visto che, col procedere degli ascolti, saranno proprio questi primi brani a rimanere incisi nel cuore più a lungo, con una “Shake It Out” tanto poco adatta come primo singolo, quanto splendida gemma che brilla assolutamente incontrastata sul resto dell’opera, con quell’organo che crea una risonanza epica da musical, su un gioco di contrasti che lascia, letteralmente, basiti.

La parte festosa, come dicevamo, arriva verso la metà dell’opera, con una “Breaking Down” che, di contro rispetto a quanto scritto sinora, è tanto adatta ad essere singolo (e lo sarà di certo), quanto scialba sulla lunga distanza, rivelando che il pianoforte, con quell’accordatura, oltre che ad essere gioiosamente Abba riesce a suonare anche tremendamente natalizio e, quindi, forse un poco fuori luogo. Ed è così che “Ceremonials” entra in un ambito di invisibilità musicale piuttosto imbarazzante, una vacuità da cui veniamo distratti da due effetti speciali di non poco conto: una produzione sempre al top, che mischia sapientemente il gusto del retrò (“No Light, No Light) ad infusioni soul (“Lover To Lover”) e nervi tribaleggianti (“Heartlines”, significativo nella sua scalata trionfale), e la voce sovrumana di Florence Welch.

Tolti questi due elementi di assoluto spessore, si scoprirà che buona parte del disco non fa che riconfermare il difetto principale insito nella proposta di Florence + The Machine, una macchia già presente in “Lungs” ma che abbiamo scarsamente notato all’epoca, troppo distratti dallo splendore della novità per dare alla cosa il giusto peso, ovvero: la scarsa dinamicità del quadro sonoro d’insieme. E se consideriamo che nella musica di questo progetto si usa senza riserva alcuna l’arpa, il pianoforte, quartetti d’archi e tutta la strumentazione in voga in ambito rock ed indie, la cosa risulta assai drammatica. Come avere una tavolozza ricolma di colori, e mischiarli tutti più o meno nello stesso modo, ad ottenere una tonalità indistinta che, a seconda di come si inclina il pennello, risulta sulla tela leggermente diversa nell’ombreggiatura, ma insopportabilmente identica nel corpo.

Sia chiaro, a questo punto, un fattore importante: “Ceremonials” non è un disco in grado di deludere i fan della band; oltretutto, è un’opera che chiunque si può mettere ad ascoltare, perché una voce come quella di Florence Welch non si trova tutti i giorni, e solo per l’autentico spettacolo che è sentirla all’opera varrebbe la pena pagare il prezzo del biglietto (ascoltate la perfetta declinazione soul della conclusiva “Leave My Body”, l’umoralità di “All This And Heaven Too”, o anche solo la parte conclusiva della già citata “Shake It Out”). Tuttavia, proprio per questi motivi si vorrebbe tale enorme potenziale al servizio di una musica che sia davvero in grado di lasciare un forte segno nell’universo della musica.

Senza nulla togliere, dunque, al potere di consolidamento che “Ceremonials” comunque possiede, l’augurio è quello di riuscire a far girare a pieno regime il motore della Machine, per avere in mano una Ferrari che, a velocità media di 300km/h, porti la voce di Florence a schiantarsi direttamente nel nostro cuore, in un impatto deflagrante in grado di lasciarci stesi a terra inermi per mesi. Ora come ora, pare esserci solo un’utilitaria che non è in grado di andare oltre i, canonici, 130 di massima, con un motore ingolfato da un oppressivo limitatore. Vediamo di eliminarlo, e alla svelta.



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