House Of Lords
Cartesian Dreams

2009, Frontiers Records
AOR

Più energico che mai, eccovi il ritorno discografico della band capitanata da James Christian
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 16/09/09

Neanche un anno fa, la critica non smetteva di decantare “Come To My Kingdom” come uno dei lavori più intensi nella discografia della formazione House Of Lords.
Oggi, siamo qui nuovamente a celebrare un top album per questa band americana e, come capite benissimo anche da soli, la cosa va ben oltre lo straordinario.

Innanzitutto, lasciatemi chiarire che il tag “AOR” per questo “Cartesian Dreams”, settimo album in studio, è sbagliato ed è stato assegnato solo per continuità ideologica: l’AOR, difatti, su questo album è più un vago aroma fornito dalle tastiere, e tra tutte le tracce (ballads escluse) solamente “A Simple Plan” ha una struttura che ricorda i trascorsi puramente melodici degli House Of Lords (tra l’altro, neanche a farlo apposta è la traccia più debole dell’intero lavoro).
Con questo album la band cambia le carte in tavola e vira decisa verso un robusto hard rock melodico, e basta ascoltare il puro distillato di Kiss in “Born To Be Your Baby”, oppure la granitica title-track (trascinante ed irresistibile, con quel tocco sinfonico all’inizio che la impreziosisce ulteriormente) per rendersi conto di quanto la proposta degli House Of Lords sia energica come non mai.

L’album scorre benissimo nelle nostre orecchie, tra una divagazione Malmesteeniana (“The Bigger They Come”), piuttosto che tracce semi-acustiche dall’insolito messaggio politico e meraviglioso ritornello in progressione (“Desert Rain”), o canzoni appositamente pensate per riuscire ottimamente in sede live (“Bangin” – nessuno potrà stare fermo e zitto durante l’esecuzione di questo pezzo, garantito!).
Ovviamente, non mancano anche tracce dolcemente distese come “Sweet September” e la bonus track “The Train”.
Tutto porta alla trilogia finale di pezzi, uno stupefacente trittico celebrativo dei gloriosi anni ’80, maelstrom creativo da cui la band ha avuto origine, per cui si parte con l’irresistibile duetto tra James Christian ed una cantante misteriosa su “Repo Man” (una donna che ci riporta alla mente la Bonnie Tyler più grintosa), per proseguire con l’esaltazione prima del sex, drug & rock’n’roll con “Saved By Rock”, e poi con la tipica ode all’amore stile hair-rock di “Joanna” (dove il nome della Joanna viene lanciato verso il firmamento dal più classico coro in crescendo di “ooooh”).

Altra menzione all’onore è il guitar work di Jimi Bell, specialmente negli assoli. Generalmente, non mi capita di rimanere particolarmente impressionato dagli assoli, vuoi perché, e non è un mistero, non sono un fan dello sfoggio della tecnica fine a se stessa. Tuttavia, Mr. Bell incesella nelle trame melodiche delle varie tracce di questo album dei fini solos che fanno letteralmente rizzare i peli delle braccia: brevi, neanche troppo complessi eppure magnificamente letali, questi assoli conferiscono del reale valore aggiunto alla struttura dei brani, per cui non posso fare a meno che applaudire di fronte a questo sfoggio di classe.

Neanche sforzandomi riesco a trovare dei veri difetti a questo lavoro: la voce di James Christian è in forma come non mai, la produzione è top-class, e pure l’artwork è deliziosamente ricco (scordatevi la banalità del blasone del precedente “Come To My Kingdom”).
La band dimostra maturità ed un’ispirazione che pare non voler minimamente essere scalfita, visto che sono qui, un anno dopo l’album precedente, a dirvi che questo disco è persino superiore a “Come To My Kingdom”, perché la struttura hard rock meglio si adatta all’energia degli House Of Lords che si dimostrano, con “Cartesian Dreams”, più liberi, ariosi e, per assurdo, alla fine anche più melodici.

Lasciatevi intrappolare in un sogno di Cartesio, non ve ne pentirete assolutamente!





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