Recensione a cura di Mario Munaretto
Terzo album nel giro di tre anni per gli svedesi Bloodbound, che ci prongono il loro heavy-metal melodico e powereggiante. Il nuovo full-length vede il rientro in pianta stabile del bravo cantante Urban Breed, già nei Tad Morose e attualmente anche nei danesi Pyramaze, che sostituisce il tedesco Michael Bormann, fondatore della rock band Jaded Heart e meteora nei Bonfire. La creatura dei fratelli chitarristi Olsson e del tastierista Fredrik Bergh giunge finalmente a un certo equilibrio, disfandosi definitivamente della nomea di progetto musicale, anche con l’innesto di Pelle Åkerlind, batterista dei Morgana Lefay.
Con il precedente Book Of The Dead avevano avuto un certo riscontro, arrivando nella zona mediana della classifica svedese e supportando in sede live i più blasonati Hammerfall per tutto il 2007, ora con "Tabula Rasa" cercano la via per la definitiva consacrazione. Il potenziale dei Bloodbound si dispiega attraverso le capacità virtuosistiche della chitarra di Tomas Olsson, ma soprattutto intorno alle pulite e accattivanti linee vocali del singer Urban Breed, non per niente la coppia Breed-Olsson, motore pulsante del gruppo, è autrice di tutti i brani di Tabula Rasa. Il disco si apre in modo brillante con le luccicanti "Sweet Dreams Of Madness" e "Dominion 5", con la seconda che strizza l’occhio all’A.O.R. più commerciale nel chorus. La voce di Breed è accattivante e carismatica.
Un battito cardiaco introduce "Take One", ottimo pezzo dalla grande orecchiabilità, diretto, potente, con la title-track rappresenta certamente il momento più alto dell’album. Da qui in avanti, partendo dalla tediosa ballad "Night Touches You", i Bloodbound si perdono via, le canzoni si appiattiscono, l’album scorre via senza lasciare il segno, complice una produzione quasi perfetta (ma dove sono sparite le tastiere?), laccata e leccata, ma che tende a rendere il sound freddo e incolore, l’esatto contrario delle emozioni che questo tipo di musica dovrebbe provocare. Solamente la rocciosa "Master of My Dreams" riesce a dare un senso alla seconda parte dell’album. Un vero peccato, viste le potenzialità dei Bloodbound.