Rammstein
Liebe Ist Fur Alle Da

2009, Universal
Industrial Metal

L'attesa è finita, prestate orecchio a una leggenda. Rammstein!
Recensione di SpazioRock - Pubblicata in data: 26/10/09

Recensione a cura di Mario Munaretto

L’amore è qui per tutti. Sono passati quattro anni dall’ultimo album in studio dei Rammstein, un periodo certamente lungo, durante il quale la band ha praticamente avuto l’encefalogramma piatto, salvo pochi ma decisi sussulti: l’incomprensibile decisione di effettuare un tour a supporto di “Rosenrot”, la mancanza assoluta di novità per quasi due anni, eccetto l’uscita dello spettacolare “Völkerball”, la notizia della pubblicazione di un presunto “best of”, mai realmente avvenuta, la decisione di Richard Z. Kruspe di dedicarsi al suo progetto “Emigrate”, pubblicando il primo full-length alla fine dell’estate del 2007, ma soprattutto la bufala che circolò in rete, sempre in quel periodo, dell’uscita di Till Lindemann dai Rammstein, sostituito da En Esch, l’ex-cantante dei KMFDM, smentita sul sito ufficiale dopo ben una settimana.

 

Un insieme di fatti, voci, notizie che hanno fatto temere per il futuro della band, fino alle prime dichiarazioni a inizio 2008, relative al work in progress del nuovo album, culminate un mese fa con l’uscita del singolo “Pussy” e, finalmente, del nuovo album, “Liebe Ist Für Alle Da”, il sesto in ben quindici anni di carriera. La struttura del disco è quella di tutte le precedenti produzioni in studio dei Rammstein: undici canzoni comprensive di title-track che dà il nome all’album. “Rammlied” è il modo migliore per annunciare il ritorno dei figlioli prodighi, la canzone è un vero e proprio inno al gruppo stesso, un inno autocelebrativo e autoreferenziale, sottolineato dal potente chorus “Ramm-Stein!” e dalla strofa “Leiht euer Ohr einer Legende” (“Prestate orecchio alla leggenda”). Musicalmente in “Rammlied” risuonano le cadenza e la marzialità di “Rammstein” e di  “Wollt Ihr Das Bett In Flammen Sehen”.

 

“Ich Tu Dir Weh” è introdotta da un etereo tappeto tastieristico di Flake, fino alla partenza di un riff granitico seguito dal ritmo elettronico e dalle voce di Till, che racconta con parole crude e disturbanti un violentissimo rapporto di dominazione psicologica e sessuale, ripartendo poi in una lenta progressione a supporto del solito riff monocorde e alternandosi con le parti elettroniche. Un pezzone, possibile candidato a diventare il secondo singolo. Squilli di corni salutano i cacciatori in “Waidmanns Heil” (“Il saluto del cacciatore” appunto), certamente uno dei pezzi più metallici dell’album, incalzante, tirato, con un mood assimilabile a quello di una “Feur Frei”. Un crescendo parossistico di violenza, orchestrato da un Till impietoso e malvagio nel gridare la strofa “Die Kreatur muss Sterben”, fino al drammatico bridge finale, dove si sente l’ansimare disperato della preda stremata, prima del colpo finale.

 

Il robusto electro-pop di “Haifisch” paga invece il tributo ai Depeche Mode, pronta per essere remixata e data in pasto al popolo dei dancefloor gothic e darkwave. Riff cattivo e potente per il delirio cacofonico di “B********”, il cui titolo sarebbe “Bückstabü”, un sostantivo immaginario che può prendere qualsiasi significato, a detta dei Rammstein. “Frühling In Paris” è una ballad malinconica e romantica, la voce di Till si fa più pulita, più intima, ed è accompagnata per la prima parte solo dalla chitarra acustica e dalle tastiere, seguiti poi dalle linee musicali degli altri strumenti. Che il chorus “Je ne regrette rien” sia un omaggio alla leggenda della canzone francese Édith Piaf ? “Weiner Blut” inizia con l’attacco di un valzer viennese per poi diventare strisciante, morbosa, si sentono dei mugolii di terrore, si sentono bambini ridere, la canzone esplode seguendo alternando il ritmo sulla successione strofa-chorus. Till cambia i registri vocali, suadente e mieloso sulle strofe, diventa il male assoluto quando urla “Willkommen in der Dunkelheit!”, “Benvenuti nell’oscurità!”.

 

La canzone si rifà a uno dei più inquietanti episodi della cronaca recente, il caso Fritzl, ma questa è un’altra storia. Credo che ci siano fiumi di parole da spendere invece per il primo singolo, “Pussy”, in cui rieccheggia vagamente “Amerika”. Preferisco però lasciare la parola alla musica e alle immagini, guardatevi quindi il dissacrante e molto pornografico video a opera di Jonas Åkerlund, “Steck Bratwurst in dein Sauerkraut!”. La title-track schiaccia sull’acceleratore e la seguente “Mehr”, che dall’intro elettronica lascia presagire il riff industrial con martellamento del chorus in puro stile Rammstein, si trasforma in un’altra canzone, diventa un piccolo capolavoro quando stacca completamente sul bellissimo bridge. “Liebe Ist Für Alle Da” si conclude con “Roter Sand”, un brano etereo e sognante, evidenziato dalle voci femminili, accompagnato dalle chitarra acustica e da una grande atmosfera creata da Flake.

 

Ritorno strepitoso per i Rammstein, questo è ineccepibile. Richard e Paul fanno il loro classico lavoro alla chitarre, mentre il basso di Ollie è lasciato in secondo piano, Flake è il solito deus ex-machina per le parti elettroniche, Till è un grande, canta sempre meglio, album dopo album, ma è Doom la vera sorpresa. “Liebe Ist Für Alle Da” è ricco, vario, eterogeneo dal punto di vista della composizioni, si può quasi percepire la difficoltà del processo creativo, complesso e lungo praticamente quattro anni. Probabilmente qualcosa è avanzato dagli outtakes di “Reise, Reise” e di “Rosenrot” e forse Richard ha riciclato qualche riff dei suoi Emigrate. Non è importante. “Liebe Ist Für Alle Da” potrebbe assomigliare a tutti i precedenti lavori dei Rammstein, ma a nessuno in particolare, oppure a uno solo di essi. Probabilmente ogni ascoltatore ci risentirà di più “Mutter” piuttosto che “Sehnsucht” o gli altri lavori. Ma anche questo non è importante. “Liebe Ist Für Alle Da” è Rammstein, punto e basta.




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