Rammstein
Reise Reise

2004, Motor Music Records
Industrial Metal

Bene o male, purchè se ne parli.
Recensione di Mattia Schiavone - Pubblicata in data: 28/11/16

Il numero di band che hanno basato la loro carriera (o che ci hanno provato) su attitudini poco consone e convenzionali, senza dare usuale importanza ad un aspetto fondamentale come la musica, è pressoché infinito. Molti sono gli artisti che con la giusta faccia tosta e una buona dose di carisma hanno avuto i loro momenti di gloria, odiati e amati in egual misura e votati alla consacrazione del proprio ego più che dei propri sentimenti messi in musica. Dall'altra parte molte band più che genuine sono state inserite in questa categoria, ma la differenza tra questi e i saltimbanchi pieni di sè di cui sopra è tanto marcata quanto semplice: ci sono casi in cui la provocazione non è mai fine a se stessa, ma sempre contestualizzata e coniugata alla capacità di fermarsi prima dell'ideale barriera che divide la consapevole esagerazione dal ridicolo.

 

È proprio questo il caso dei Rammstein, che fin dagli esordi sono in grado di fondere provocazione, cattiveria, ironia e sentimento come poche altre band riescono a fare. Chi conosce il sestetto tedesco sa bene quanto genuine siano le intenzioni di Till Lindemann e soci, capaci di dare vita a veri e propri labirinti costituiti da testi provocatori e malsani, accompagnati da parti quasi poetiche e pregne di sentimento. Nel quarto album della band, "Reise, Reise", tutto ciò è tradotto, dal punto di vista musicale, in muri di chitarre che si abbattono con una violenza inaudita sulle orecchie dell'ascoltatore e che, in alcuni momenti, si placano per creare un sottofondo a tratti emozionale. È essenziale il contributo delle tastiere di Christian Lorenz, dosate alla perfezione e mai troppo invadenti, insieme alla secca e scandita sezione ritmica offerta da Oliver Riedel e Christoph Schneider. Ma il vero mattatore è senza ombra di dubbio l'istrionico Lindemann, capace di amplificare con la sua potente voce ogni sensazione risvegliata dal comparto strumentale. La sua capacità di passare da sfoghi di cieca rabbia ad un cantato quasi lirico, rende "Reise, Reise" un viaggio (appunto) a metà tra la follia e l'epicità, tra l'orlo dell'abisso e l'ascensione alle nuvole tempestose.

 

La titletrack esemplifica quanto appena illustrato: le chitarre di Richard Kruspe e Paul Landers si innalzano potenti e maestose nell'intro e nel ritornello orecchiabile al punto giusto, mentre gli altri strumenti danno supporto alla profonda voce di Lindemann. Dopo un inizio più che convincente, i Rammstein si permettono di dilagare con la malsana "Mein Teil", ispirata ad un episodio di cannibalismo e che alterna parti lugubri ad altre in cui violenza e cattiveria esplodono senza lasciare prigionieri. Con "Dalai Lama" la band rallenta il ritmo e offre un magnifico brano in cui la delicata chitarra acustica e l'indomabile componente elettrica si fondono dando vita ad un'atmosfera allo stesso tempo sognante e oscura (soprattutto nei cori del ritornello). Gli stessi temi vengono ripresi in "Los", dopo la claustrofobica "Keine Lust", sorretta da un cattivissimo riff in palm muting. Il singolone "Amerika" è un inno sarcastico e più che orecchiabile che critica l'americanizzazione del mondo, mentre "Moskau" si fa ricordare per la presenza della cantante russa Viktoria Fersh. La successiva "Morgenstern" è uno degli highlight del disco e uno degli esempi migliori di integrazione di diversi elementi: il pezzo si muove tra cori epici e riff tritaossa senza lasciare un secondo di pausa. Le stesse caratteristiche possono essere trovate anche in "Stein Um Stein", che non raggiunge però il livello della precedente. Ma è negli ultimi due brani che i Rammstein dimostrano di essere una band che riesce anche a trasmettere forti emozioni: "Ohne Dich", scritta da Lindemann dopo la scomparsa della madre, è una ballata in crescendo con una sezione centrale da pelle d'oca, mentre "Amour" è una profonda attualizzazione dell'amore.

 

Tutto ciò è "Reise, Reise": un caldo abbraccio di un amico pronto a trasformarsi in una soffocante morsa senza via di scampo, il viaggio di un veliero immerso nella nebbia tra le isole della follia e quelle della ragione, un sogno che diventa un incubo. Un mondo fatto di eccessi e di esagerazione che si equilibrano alla perfezione con poesia e sentimento. Un mix che negli ultimi anni non è riuscito a nessun'altro.





Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool