Peter Gabriel
Scratch My Back

2010, Virgin/EMI
Indie

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 12/02/10

Che Peter Gabriel sia uno dei geni artistici (rinchiuderlo nell’ambito meramente musicale mi pare riduttivo) più significativi ed innovativi del nostro tempo presente, non devo certo stare qui io a scriverlo. Che Peter Gabriel arrivasse, dopo 8 anni di silenzio, con un album di cover che, però, di banale non ha assolutamente nulla, diviene automaticamente altrettanto ovvio.

Partiamo dall’inizio: “Scratch My Back” è un album che segna un progetto di “scambio di brani” tra Peter e tutti gli artisti presenti nella tracklist: ognuno di loro, difatti, dovrà “restituire il favore” coverizzando un pezzo di Peter Gabriel all’interno di una qualche loro futura release discografica (e c’è qualcuno che ha già dato il via all'opera).

Successivamente: tutte queste cover sono state riarrangiate esclusivamente per orchestra e voce. Il risultato: un album straordinariamente intimo, che riesce nella magia di esaltare l’emotività di ciascun singolo brano. Semplicemente straordinaria la delicatezza dell’amore assoluto espresso con sincerità disarmante in pezzi come “The Book Of Love” (utilizzata anche nella conclusione della serie televisiva “Scrubs”) e la dolcissima “The Power Of The Heart”, piuttosto che il dramma sinfonico della rapsodia di “Après Moi” (100 volte meglio riuscita rispetto all’originale di Regina Spektor), oppure l’epico crescendo conclusivo di “My Body Is A Cage”, dove altrettanto significative sono tutte le pause che la canzone sa prendersi, per poi travolgerti con l’orchestra. C’è persino un attimo in cui torna la fascinazione tribale africana tanto cara a Peter, e non poteva che essere su “Listening Wind”, originariamente composta dai Talking Heads.

La registrazione, praticamente perfetta (non sto affatto scherzando), è stata realizzata in parte nei Real World Studios di proprietà di Peter stesso (e sede di registrazioni sempre top class per resa finale); per tutti questi preziosi riarrangiamenti, l’ex Genesis ha voluto al suo fianco nientemeno che John Metcalfe, ex membro dei Durutti Coloumn, ed il produttore Bob Erzin (tra i suoi lavori, “The Wall” dei Pink Floyd… ed ho detto tutto). A condire il tutto, poi, la voce di Peter stesso, che, come il buon vino, invecchiando migliora sempre di più, perdendo forse lo squillo di un tempo ma guadagnando, come dazio, una rugosità meravigliosamente vissuta, una voce alla quale non si può fare a meno di credere con convinzione mentre canta di false banalità come: “The book of love is long and boring / And written very long ago / It’s full of flowerss and heart-shaped boxes / And since we’re all too young to know”. E’ talmente ben registrato e scritto questo album, che mi sentirei di consigliarlo a molte persone che, nel rock/metal, si fregiano dell’aggettivo “sinfonico” a coronare la propria proposta musicale, convinti che l’orchestra sia una mera tastiera che suona meglio di un campionamento. Signori, e vedo molti finlandesi in sala (uno amante dell’eye-liner in particolare): forse è il caso che corriate a comprare questo cd per scoprire quanto saporito può essere un arrangiamento orchestrale fatto con l’intenzione di far suonare per davvero l’orchestra.

Bene, ora facciamo un paio di constatazioni: l’unica cover secondo me malriuscita è la conclusiva “Street Sprit”, vuoi perché canzone iper-abusata, vuoi perché eccessivamente dilatata e sussurrata, questa canzone è l’unica che non è stata in grado di suscitare in me una sincera emozione. Già, sincera emozione: vedete, questo album nasce con delle premesse ben chiare, premesse che richiamano ascolti attenti, in momenti di catarsi silenziosa col proprio io interiore; non può essere messo in macchina, non può essere messo mentre si è impegnati a fare altro: questo disco demanda di essere vissuto, più che di essere ascoltato. Proprio per questo motivo, molti potrebbero esserne a ragione intimoriti, ed il mio consiglio, in tal caso, è di tenersene alla larga ed abbassare notevolmente il voto che vedete in fondo.

Tutti gli altri, invece, mi prendano in parola: 8 anni per un cd di cover da Peter Gabriel possono essere deludenti anche per il fan più accanito, ma una volta ascoltato “Scratch My Back” fino in fondo, non potrete fare a meno di dire, semplicemente, grazie.



Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool