Caprice
Six Secret Words

2010, Prikosnovenie
Folk

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 17/02/10

Dovessero chiedermi quale sia l’opera più sbagliata per entrare in contatto con il magico mondo musicale dei russi Caprice, direi senza alcun dubbio: questo “Six Secret Words”.
Il motivo è estremamente semplice: questo cd nasce con un intento ben preciso, ovvero quello di creare 6 brani per la meditazione e l’interiorità più assoluta, un compito verso il cui mastermind del nostro collettivo musicale, Anton Brejestovski, si è sottoposto con estrema solerzia e professionalità, partorendo tuttavia un cd innegabilmente dilatato, intimo e sussurrato.

A questo punto, direi che è necessaria un’introduzione ai lettori di Spaziorock su chi siano i Caprice, un nome con cui, ve lo assicuro, presto arriverete ad avere estrema familiarità, se continuerete a seguire questa rubrica.
La mia testardaggine è dovuta al fatto che questo ensemble è, semplicemente, il migliore esponente sulla faccia della Terra del cosiddetto movimento “Fairy Folk”, ovvero quella particolare forma di folklore che trova nelle atmosfere fatate e fiabesche la sua principale fonte d’ispirazione, tradendo sempre una certa giocosità di fondo ed un’evidente passione per il fantasy che, poiché vissuta con autentica visceralità, non risulta affatto pacchiana ma, al contrario, genuinamente sincera.
A condire il tutto, una strumentazione tendente sempre verso la classica musica da camera (con flauti, arpe, pianoforti, viole e violoncelli a farla da padrone), ma non prive di sporadiche virate verso l’acustico della chitarra, piuttosto che sezioni ritmiche viscerali di timpani e tribali tamburi.

Bene, detto questo vi dico che tracce della giocosità e genialità che governava il precedente parto discografico dei Caprice, il capolavoro “Kywitt! Kywitt!”, si ritrovano nei sempre meravigliosi vocalizzi di Inna Brejestovskaya (una soprano di grande spessore) intrecciati col violoncello di “Craft”, piuttosto che sulla conclusiva “Sage”, una canzone che riesce a rendere magnificamente, attraverso l’uso magistrale di campanelli e vagiti, la potenza e la significatività del parto, l’atto attraverso cui si concepisce la vita.

Nel mezzo, purtroppo, canzoni estremamente cantilenanti e sospese, che trovano nell’interminabile “Womb” l’esponente decisamente più noioso.
Nonostante questo, il cd non manca affatto l’obiettivo con cui è stato concepito, anzi, paradossalmente lo centra appieno.
Semmai, possiamo vedere la sporadica vita nelle canzoni già citate “Craft” e “Womb”, nonché il sacrale auspicio di “Trees”, come una sorta di firma, una manifestazione di classe che rende questo lavoro sicuramente non per tutti, ma comunque godibile per chi decide coraggiosamente di affrontarlo.

Ribadisco quanto detto in apertura; quindi, se vi sentite incuriositi da quanto scritto sinora, ascoltate un cretino e buttatevi a pesce su “Kywitt! Kywitt!”, e siate pronti ad uno shock musicale di magnitudo elevatissima. Poi, dopo aver eviscerato ben bene altri episodi discografici assolutamente significativi come “Sister Simplicity” e “Tales Of The Uninvited”, tornate magari a concentrarvi su questa colonna sonora da meditazione.
Se già conoscete i Caprice e ne siete appassionati… Beh, anche “Six Secret Words” va aggiunto alla collezione, niente da fare!



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