Mortiis
The Song Of A Long Forgotten Ghost

2018, Funeral Industries / Omnipresence Productions
Dungeon Synth

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 07/12/18

Attraversando le nebbie del tempo, ritornando alla vita come una novella creatura di Frankenstein o uno zombie romeriano, il primo parto del troll norvegese Mortiis acquista una nuova veste. A 25 anni di distanza dall’uscita originaria, “The Song Of A Long Forgotten Ghost” abbandona i polverosi panni del demo realizzato in un casalingo lo-fi e si mostra al mondo con un aspetto degno del suo alto lignaggio.


Che Mortiis sia stato un precursore, un visionario in anticipo sui suoi tempi, è innegabile. Pochissimi, prima di lui, avevano tentato di imbrigliare attraverso una cornice ambient le nebbie e l’oscurità di un mondo a cavallo tra il medioevo e il fantasy. I Celtic Frost con l’intro del loro EP “Morbid Tales”, i Mayhem con l’intro del debutto “Deathcrush”, Burzum con una traccia dall’album “Det Som Engang Var”, solo per citare i più famosi. Con la sua demo, Mortiis porta invece all’attenzione del pubblico un intero album – sebbene composto da una sola traccia strumentale della lunghezza di 54 minuti – pensato con una concezione che guarda all’atmosfera che si poteva respirare nei vecchi film della Hammer: castelli, segrete, boschi perennemente ammantati di nebbia, presenze spettrali, a cui aggiunge un tocco nerd da patito di Dungeons & Dragons. “The Song Of A Long Forgotten Ghost” si sviluppa attraverso continui loop di poche note di tastiera, giri che si inseguono e si riprendono alternando momenti più pacati ad altri più energici. La struttura del brano, che in un primo momento ci appare così lineare, subisce allungamenti, accorciamenti, annullamenti; la ripetitività viene spezzata da minuscole variazioni, impercettibili tocchi di genialità che arricchiscono un lavoro che fonda le proprie basi sulla visionarietà. Le sensazioni che l’ascoltatore ne ricava sono tutte molto morbide, malinconiche, vaporose come i filamenti di nebbia che infestano il paesaggio abbozzato dalle note di Mortiis. I pochissimi strumenti – tutti mimati dal synth - che arricchiscono la partitura delle tastiere vengono dosati alla perfezione e sfruttati per dare maggiore colore. Sono soprattutto le percussioni a lasciare il segno, più di tutto negli ultimi due o tre minuti quando vengono lasciate in secondo piano e sembra quasi che provengano da un’altra dimensione, come se un qualcosa di oscuro stesse battendo sul sottile strato che separa la nostra realtà da un mondo popolato da oscure creature. I giri di tastiere, così semplici ma nello stesso tempo ipnotici e funerei, fanno pensare in diversi punti all’opera dei Goblin, quelli dell’incarnazione meno prog per le colonne sonore per i film di Dario Argento.

Giudicare un album/brano come “The Song Of A Long Forgotten Ghost” non è cosa facile. Di sicuro è invecchiato benissimo e risentirlo in questa nuova versione ripulita è comunque un vero piacere. Lasciato da parte lo stupore iniziale non si può non rimanere coinvolti da quel mix di ingenuità adolescenziale e di genialità che il troll norvegese era riuscito a realizzare all’epoca. Analizzandolo con la massima oggettività rimane ancor oggi una pietra miliare che ha dato vita a un sottogenere attualmente estremamente vitale. Prodotto estremamente di nicchia ma dal potenziale elevato.





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