The War On Drugs
A Deeper Understanding

2017, Atlantic Records
Country Rock

Il dolcissimo risveglio dal sogno di Adam Granduciel & Soci.
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 17/11/17

La storia narra che il frontman Adam Granduciel, per la composizione del quarto disco in studio a firma The War On Drugs, si sia chiuso in studio di registrazione alla ricerca ossessiva di un perfezionismo nell’arrangiamento e nella forma canzone che ha quasi del molesto.
 
Già, l’arrangiamento: non è mai stato così fondamentale e cruciale in questo nostro presente musicale, e non c’è sacrosanto giorno che “The Funeral” degli Arcade Fire non sia lì a ricordarcelo. Strano anche citare la band di Butler & Chassagne, visto che i The War On Drugs, almeno ad inizio carriera, parevano la loro versione country, quella maggiormente radicata nella rustica America che non nella gioiosa follia canadese. Quei giorni, però, sono oramai un lontano ricordo, reso quasi indelebile da quel “Lost In The Dream” che ha segnato l’innesto, nello scheletro della Grande canzone country rock che da sempre muove i Nostri, di elementi prettamente indie, in atmosfere rarefatte e sospese a creare una formula sonora unica ed accattivante.

Leviamoci subito il sassolino dalla scarpa: “A Deeper Understanding” non risulta rivoluzionario come l’opera che lo ha preceduto, eppure suona in qualche modo incredibilmente diverso. Merito di una fortissima concretezza nella trama melodica, nella maggiore pulizia della voce di Granduciel, non più effettata a dare  la sensazione di sogno: tutti elementi che ci portano a concludere che siamo di fronte al risveglio alla realtà maggiormente pop oriented rispetto alla bruma fascinosa ed ipnotizzante che circondava la band di Philadelphia fino a tre anni fa. Oh, i maligni potrebbero pensare che il tutto sia dovuto al classico passaggio verso una major con conseguente “rammollimento” dell’ispirazione e della proposta sonora, ma non si potrebbe essere più in errore.

“A Deeper Understandig”, difatti, è disco che, in un certo senso, amplifica gli elementi del suo illustre ed acclamato predecessore, spingendo ulteriormente l’asticella verso l’alto. Donando spazio alle chitarre elettriche innanzitutto, tanto da lasciare loro addirittura una delle melodie più vincenti del disco. Si parla di “Pain”, e di come il ritornello del brano non sia affidato alla voce di Adam, quanto alla sua Sei Corde che, prendendo in pieno petto il gravoso compito, fa svettare il brano verso vette incredibili, tanto da rimanere basiti su quello che viene proposto alle nostre orecchie durante i tre minuti finali, dove la stessa frase viene ripetuta con innesti di “voci” sempre più nuove e potenti. Uno svolgimento simile a quasi tutti i brani del disco, a creare composizioni dalla lunghissima durata, circolari e reiteranti, eppure sempre in qualche modo sottilmente diverse.
 
Il perfetto manifesto di quanto scritto sinora è rappresentato da “Thinking Of A Place”: 11 minuti di durata complessiva, per una canzone che si ferma e si conclude dopo il quinto minuto…salvo riproporsi identica, eppure diversa nelle tonalità e nello svolgimento finale, nella seconda parte del componimento. Una medaglia a due facce dello stesso materiale, ma dalla diversa effige, o un parto gemellare omozigote coi due fratelli destinati a sembrare sempre meno identici man mano invecchiano (e, nel caso specifico, una metafora per il numero di ascolti che vorrete dedicare al brano).
E, altro pregio del disco: la facilità di “lettura” del tutto.

Lungi dall’essere opera immediatamente digeribile, “A Deeper Understandig” è ciononostante inciso che sa fare breccia nel cuore dell’ascoltatore molto più rapidamente di qualsiasi altra opera a firma The War On Drugs, grazie sì ad un’ispirazione sempre pulsante e viva, ma anche per una scelta precisa di sfumature più popolari e familiari, ma non per questo banali. Ascoltate come la ballata ‘80s viene denudata e rivestita di crepuscolo country in “Strangest Thing”, e poi tornate a raccontarci com’è andata.

Giunti a questo punto, quindi, e con due risultati di eccellenza alle spalle, il paragone Granduciel – Springsteen da più parti proposto viene qui compreso, ma non appoggiato. Ad Adam manca ancora il messaggio autenticamente popolare, e la proposizione di un vero e proprio inno inter-generazionale stile “Born In The USA”, e questo nonostante una “Holding On” ed una  “Nothing To Find”, con la loro solare luminosità, in scaletta. Ma i presupposti per arrivare a quel risultato: beh sì, quelli paiono esserci tutti.

Siamo dunque di fronte ad un disco imprescindibile di questo 2017, da fare Vostro senza alcun timore. Perché una visione così consapevole di un rock passato ed oramai defunto, destinato ad essere proposto efficacemente da pochissimi Giganti, elaborato però con un’ottica così moderna ed accattivante senza ausilio di alcun effetto speciale è cosa che si vede, purtroppo o per fortuna, molto, toppo raramente.  





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