Domine
Dragonlord (Tales of the Noble Steel)

1999, Dragonheart Records
Epic Metal

Recensione di Marco Migliorelli - Pubblicata in data: 25/09/18

Cala il crepuscolo sugli anni Novanta ed i Domine sono alla prova del secondo full-length dopo un esordio di alto livello, "Champion Eternal". Siamo nel 1999 e ad un soffio dal nuovo millennio, "Dragonlord (Tales of the Noble Steel)" è non solo un altro riuscito affondo di puro epic-power metal ma anche un omaggio a quanto le ultime decadi del Novecento ci hanno lasciato in eredità. Cultura letteraria e cinematografica tornano a intrecciarsi intorno alla lama dell'epic metal attraverso una sciarada di ispirate citazioni e profonde atmosfere per chiunque vorrà godersi l'album nella sua interezza. Rispetto al predecessore, "Dragonlord" cede parte della sua originaria matrice più spiccatamente heavy-speed ad un power metal tradizionale che negli album successivi sarà sempre più preponderante. Via dunque quel forte retrogusto doom alla Candlemass di "Army of the Dead" come nel debut, ad esempio, e largo ad una intro "Anthem" affidata completamente alle tastiere cui segue a brevissima distanza la velocissima "Thunderstorm":

 

"Your time has come! A storm is coming. Our storm! And when it arrives, it will shake the Universe".

 

Sono le parole di Paul Atreides, emblematico protagonista di "Dune", prima che celebre film-culto di David Lynch (1984), iconico romanzo di Frank Herbert. Non potrebbero sortire parole migliori ad introdurre una opener fulminante, perfettamente in sintonia con la bellissima cover. Un assalto frontale che ha ben poco a che spartire con l'inizio più ragionato del primo album, dove le cadenze doom e il basso pesante di "The Mass of Chaos" stillavano reminiscenze di Candlemass e Warlord.

 

S'alza il vento, tamburi di guerra marziali s'accompagnano alle tastiere sorte a fanfare da battaglia. La marcia è solenne ed è facile manovra per le chitarre allinearsi e preparare il terreno alla voce di Morby sempre alta fra i picchi del canto: "Last of the Dragonlords", col suo indimenticabile incipit, hai i requisiti di una vera marcia imperiale Il brano riprende quella filologia dell'acciaio e della parola già iniziata con "The Chronicles of the Black Sword" e dedicata all'eroe dello scrittore Michael Moorcock, vero e proprio nume tutelare dei Domine: Elric di Melnibonè. Tastiere e chitarre dominano invece la successiva "Blood Brothers's Fight" giocata sul chiaroscuro di strofe dalla cadenza narrativa cupa, fatale ed un ritornello molto più arioso affidato all'ugola infallibile di Morby. "Defenders", a metà del disco, ha l'abito perfetto della canzone da palco: vesti succinte e forme di facile impatto con un bel lavoro di chitarra nel mezzo per dar tregua alla gola di Morby. Qui termina anche una prima parte veloce e nel complesso di facile lettura. "Mars, the Bringer of War" è a tutti gli effetti una seconda intro che apre all'anima più complessa di questo full-length. Si narra di Arioch, uno dei duchi più potenti dell'Inferno Moorcockiano. Risponde Elric nella titletrack, senza alcun dubbio il vero vessillo da battaglia dell'intero album:

 

"For I am the Bringer of War/ I am The Bearer Of The Black Sword/ and my name will be known to all"

 

Ancora una volta, l'eccellenza del basso di Riccardo - sempre deliziosamente udibile grazie anche all'ottimo missaggio dei New Sin Audio Design Studio di Treviso - irretisce le tastiere di Iacono mentre il coro introduttivo di Morby pare attenda soltanto il rincalzo delle nostre voci ai concerti. Ad un ritornello capace di rianimare le schiere più affrante per il sacrificio finale, fa da sfondo una struttura del brano sempre marziale, scandita dai fendenti del roccioso Palmiotta sugli scudi, e lavorata pazientemente dalla chitarra di Enrico nella sua parte finale. "Uriel, the Flame of God", fa da puro contraltare alla tenebra di Arioch con un testo dedicato interamente a Uriel, l'arcangelo che vigila sulle porte dell'Eden con la sua spada fiammeggiante, arma che lo pone in filo diretto con Elric. Ricca di sfaccettature e cambi, la canzone apre con un bel fraseggio corinzio di basso e chitarra da parte dei due Paoli, taglia nel mezzo con uno dei solos più luminosi e indimenticabili del disco fino a tramontare, con piena coerenza drammatica, fra le braccia di "The Ship of the Lost Souls". Questo nono brano, fin dall'arpeggio proietta l'ascolto in una nuova dimensione di sogno, più sottile e meno palpabile, avara della concretezza aspra dei campi di guerra. La voce di Morby si estende sempre ma non in altezza, quanto a spiegarsi lungo l'orizzonte, come a calare in una mistica del fantasy, quindi spegnersi per far posto ad un altro memorabile solo di chitarra e riprendere infine da un sussurro e sfociare nella strofa finale.

 

Il livello di pathos è alto, l'incanto sortito come solo si potrebbe leggere fra le migliori pagine di autori come Eddings, Turtledove, il duo Weis Hickmann o Salvatore. La coerenza drammatica, così potentemente adempiuta soprattutto in questa seconda parte dell'album, non solo fa di "Dragonlord (Tales of the Noble Steel)" forse il miglior album dei Domine ma prepara anche ad un finale degno delle più severe aspettative.

 

"Behold! The Sword of Power! Excalibur! Forged when the world was young, and bird and beast and flower were one with man, and death was but a dream!"

 

Potevano i Domine, a due anni da una suite magistrale come "The Eternal Champion", lasciarci a bocca asciutta? A parlare è Merlino, interpretato da uno straordinario Nicol Williamson nel cult di John Boorman "Excalibur" (1981). Ben più che mera citazione incollata fra capo e collo di una nuova suite, le parole di Merlino tornano come degno tributo ad un modo ormai antico di intendere e vivere il Fantastico, oltre che un altro chiaro indizio dello spirito con cui vanno letti gli album dei Domine, non a caso, nè per esagerazione lodati già all'epoca dalla stampa di tutto il settore.

 

"The Battle for the Great Silver Sword", chiude l'album con 13 imponenti minuti. Arpeggio ipnotico, il tamburo rulla con lentezza, una campana apre alle chitarre col passo del destino e il presagio di un racconto archetipico: "This is the story, of centuries untold...". Ancora una spada, Excalibur ma che sia questa o Stormbringer, la Tempestosa non ha davvero più importanza perchè lungo sei episodi, il racconto segue ormai la magia di un archetipo. Il nettare del brano si raccoglie tutto fra l'ottavo e il decimo minuto, spettatori di una lunga cavalcata strumentale cui partecipano tutti e a ridosso della riscossa di Morby:


Fearless in a haze of bloodlust
Riding at breakneck speed
Armies clash one against the other
A sea of blood flooding the field

And as the thunder roars in the distance
The setting sun paints a crimson sky
And as the Tyrant raise the sword
The Silver Sword is Broken, oh no!

 

Pur facilmente inquadrabile fra i ranghi di un genere, l'epic power metal, "Dragonlord (Tales of the Noble Steel)" ha tanta personalità da poter dominare dall'interno quelle stesse regole che devotamente onora. Ed oggi, è il caso di dirlo, ha anche la storicità per continuare a farlo.





01. Anthem
02. Thunderstorm
03. Last of the dragonlord
04. Blood Brothers fight
05. Defenders
06. Mars, the bringer of war
07. Dragonlord
08. Uriel, the flame of God
09. The ship of the lost souls
10. The battle for the Great silver sword

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