Eagles Of Death Metal
Zipper Down

2015, Universal
Garage Rock

I am from Silverlake and I am in a cool band. Don't you know who I am?
Recensione di Giulio Beneventi - Pubblicata in data: 03/10/15

Proprio vero che chi va piano, va sano e va lontano. Insomma, sano è un parolone per gli Eagles Of Death Metal ossia per un giornalista (laureato, eh) tossico, repubblicano, scaltro e pervertito come Jesse “The Devil” Hughes e una rockstar tanto famosa quanto rispettata che cerca di togliersi tutti gli sfizi possibili in carriera come Josh Homme. Però lontano, quello sì. Ci sono voluti quasi otto anni per liberarsi -momentaneamente- dagli impegni con i Queens Of The Stone Age e i mille altri progetti da una parte, dalla tossicodipendenza e dagli slogan anti-Obama dall’altra ma alla fine ce l’hanno fatta: i due -amici sin dai tempi della high school- sono riusciti a dare un credibile seguito all’acclamato “Heart On” (2008), un quarto album oltraggioso sin dal titolo e dalla copertina (per gli eterosessuali valgono già l’acquisto) che come una sorta di prodotto di una dieta Jenny Crank dona un ennesimo risvolto fresco e divertente al celebre, pazzo e inesistente incrocio tra Eagles e death metal.  

Si, Zipper Down ci riesce ancora una volta, con undici composizioni nate per sedurre il sesso femminile -dieci inedite e una irriverente cover blues di “Save A Prayer” dei Duran Duran, trasformata in un manuale di sessuologia per bambini, per usare le parole del diavolo baffuto- che nella loro media di tre minuti scarsi vanno a costituire una scorribanda intervallata al sapore di metanfetamina fatta del solito cantato sguaiato, doppi sensi, riff in stile Kiss, quadrupli mix di genere e batteria ossessiva. Sin dalla partenza con il primo singolo estratto, il messaggio è chiaro: «It’s so easy without complexity» e la formula funziona bene nella sua umiltà per tutta la durata senza riempitivi, sia nelle parti calde come "Silverlake (K.S.O.F.M.)" e “Got A Woman” che in quelle più tranquille di “I Love You All The Time”. Si aggiungono poi gli altri pezzi forti passata la boa, tutti sempre fortemente debitori di Stones e T-Rex (e di tutte le altre band che ritrovate nei disgraziati ringraziamenti di “Death By Sexy”), da quella “Skin-Tight Boogie” riempita all’inverosimile di fuzz sino a “The Deuce”, in cui inoltre si sente finalmente di più quella fantomatica influenza della forza sonora di Little Richard e Chuck Berry tanto decantata da Hughes.   

 

In sostanza, come facilmente intuibile, questo squinternato album non sarà probabilmente il nuovo capolavoro della musica moderna e neanche un disco dalle grandi pretese, ma nella sua semplice genuinità è di sicuro un lavoro in pieno stile EoFM, della stessa ironica attitudine dei primi tre dischi e con qualche trovata anche più innovativa e coraggiosa, che fa intendere come quei due rozzi individui sappiano sempre bene quale sia la vera e più intima essenza di quella roba per Illuminati e gente figa che non vuole uccidere il mondo che ci ostiniamo a chiamare rock n’roll. Di sicuro basterà per farvi scatenare a mille e invogliarvi a seguire senza indugio il poetico consiglio dei Nostri: «Bisognerebbe sempre girare con la lampo abbassata, lasciando tutto a penzoloni».

O almeno, per me ha fatto così. Spero che Jesse o Joshua verranno prima o poi a pagarmi la cauzione.





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