Editors
In Dream

2015, PIAS
Alternative Rock

Il sogno sintetico di un domani carico di emozione: bello, ma non travolgente.
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 02/10/15

Guardando dall'alto la carriera discografica dei britannici Editors, è interessante notare un percorso personale assolutamente ben delineato e preciso: con la mission di unire il senso di oscura placidità elettronica della new wave ottantiana all'epicità dell'arena rock del nuovo millennio, senza però disdegnare sporadici passaggi nello shoegaze più ‘90s, i Nostri sono sempre stati accusati da una certa critica di non sapere né di carne né di pesce. Opinione condivisibile ma discutibile, dacché da queste parti si è sempre preferito considerare la capacità di unire tre decadi in musica la vera forza di una band che, con lo scorso "The Weight Of Your Love", ha raggiunto consensi commerciali notevoli, senza però perdere in integrità artistica.


Su un percorso discografico grossomodo impeccabile, un'unica macchia nera (è proprio il caso di dirlo): "In This Light And On This Evening", disco puramente sintetico, plastico, eccessivamente sterile nella sua emotività in favore di un'estetica wave decisamente troppo classica e, quindi, assai poco interessante.

 

Accantonata la collaborazione con Jacquire King (e la decisione di essere i nuovi Coldplay con essa) in favore di Bob Mould dietro alla consolle, non stupisce, quindi, veder tornare oggi gli Editors con "In Dream" e la precisa volontà di ritentare un percorso parzialmente fallito, con un disco che con l'episodio del 2009 condivide moltissimi aspetti: la deriva elettronica in primis, poi la cupezza, quindi la contemplatività e, infine, una maggiore istintività anti-commerciale di fondo.
Vi è, tuttavia, una differenza fondamentale che contraddistingue questo nuovo parto discografico da "In This Light...", ed è la consapevolezza di una band matura che crede nelle sue capacità, soprattutto perché reduce da quell'ampio consenso commerciale già citato.

 

Ecco, dunque, che l'andamento di "In Dream" diviene fascinosamente claudicante: se in sede di apertura d'opera il sogno è quasi un incubo plumbeo e straziante, con quell'urlo in falsetto di Smith soffocato dalla disperazione di un gelido synth, subito il disco pare quasi sentirsi in colpa, e pone in successione un omaggio al Reflektor degli ultimi Arcade Fire ("Ocean Of Night"), una crooner-song tanto piaciona quanto decadente ("Forgiveness"), una rapsodia ugualmente sinfonica ed elettrica epica ed immediatamente leggibile ("Salvation"), fino ad arrivare alla perfetta geometria Kraftwerkiana del singolo "Life Is A Fear". Il tutto, però, senza che le canzoni riescano a perdere quel senso di desolata disperazione, accarezzando sì il pop, ma senza abbracciarlo.
E' un'intenzione confermata anche nella seconda parte dell'opera: al duetto con Rachel Goswell degli Slowdive, dove un martellante synth esplode nella solennità dell'organo finale producendo un episodio da fabbrica sperimentale dei sentimenti sonori, si contrappone a seguire lo stesso synth che produce un più consolante e familiare refrain che immediatamente porta alla mente "Small Town Boy" dei Bronski Beat.
Solo con la conclusione di "Marching Orders", traccia più significativa del lavoro, questi due aspetti - la lisergica oscurità sintetica e la precisa volontà melodica - paiono trovare un modo inedito di interagire, unendo la tipica struttura corale da "mano sul cuore" dell'arena rock della strofa e del ritornello alla lunga coda strumentale dei synth, impiegati in pattern sferzanti ed incrementali a creare un caldissimo crescendo che si fatica credere essere figlio di una programmazione elettronica.

 

"In Dream", inoltre, è soprattutto un disco che tenta disperatamente di convincere dell'importanza dei sentimenti in un'epoca moderna dove essi paiono essere quasi un fardello da non considerare con troppa importanza. Non si contano gli inviti reiterati sui testi a non abbandonare la potenza del sogno di un domani carico di emozione, ("Even though you've fucked up, there's still the makings of a dreamer in you" e gli ossessivi "Tryin' to get more" di "Marching Orders") e di abbandonare la paura di lasciarsi andare temendo costantemente il fallimento e l'inevitabile carico di dolore e frustrazione che ne consegue ("Life is a fear of falling trough all the cracks" - Life Is A Fear).

Se l'obiettivo è dunque quello di dimostrare che anche gli Editors sanno scrivere canzoni emotive senza ricorrere al trucco del pop ma affidandosi agli archetipi della musica elettronica contrapponendo loro il calore di melodie e liriche, l'operazione è un pieno successo. Al netto di brani poco ispirati che si sopportano unicamente per l'interpretazione assolutamente brillante e totalmente coinvolta di un Tom Smith sempre convincente in ogni situazione vocale ("All the Kings", "At All Cost"), "In Dream" si dimostra disco che prende quanto c'era di buono (non molto, invero) nelle scorse sperimentazioni sintetiche della band e porta la qualità sonora verso splendide vette di emozionalità.

 

Quello che pare mancare, invece, è la capacità di queste canzoni di penetrare l'animo dell'ascoltatore con spietata decisione, come accadeva sia su "The Weight Of Your Love" o su "An End Has A Start", a causa forse ancora una volta di un eccesso di funzionale e sterile estetica sonora che gli Editors, a quanto pare, non sono ancora in grado di dosare con la giusta cura quando decidono di pagare un grande tributo alle loro radici darkwave.

 

Per cui sì: stavolta sicuramente ammirerete con decisione e convinzione l'algida bellezza oscura di questo sogno sintetico confezionato dalla band, ma non aspettatevi di essere travolti da esso.





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