Ian Anderson
Homo Erraticus

2014, Kscope Music
Prog Rock

Un ispirato excursus antropologico, diretto discendente di "Thick As A Brick"
Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 14/04/14

Dopo le altalenanti esperienze come deputato laburista e tour manager (indovinate di chi), l’ex bambino prodigio Gerald Bostock, oramai stanco e anziano, decide di fare ritorno al villaggio natale di Saint Cleve nell’Inghilterra Occidentale per il meritato riposo. Non passa molto tempo che il nostro inquieto personaggio comincia a fare piani per il proprio futuro finché decide, considerata l’enorme quantità di tempo libero a disposizione, di reinventarsi in una sorta di incrocio fra storico e scrittore. Proprio durante una delle interminabili giornate passate presso il bookshop di Matthew Bunter, nel vicino villaggio di Linwell,  Gerald si imbatte in un raro manoscritto pieno di polvere, scritto da un oscuro personaggio del posto con la passione per la storia, tale Ernest T. Parritt, (1865 -1928). “Homo Erraticus”, questo il titolo dell’opera, ripercorre le tappe principali della storia della Gran Bretagna, alternandole ad alcune interessanti rivelazioni per il futuro dell’umanità.
 
Barboni e menestrelli, bambini prodigio e cavalli da tiro, vita nei campi e saghe epiche, nel corso della sua carriera Ian Anderson ha più volte dato prova di saper descrivere il mondo intorno con la discrezione e l’ironia tipicamente british che lo contraddistinguono. Affrancatosi con disinvoltura dal blasone del monicker Jethro Tull (“me o loro, è davvero così importante?”), l’estro del sessantasettenne flautista inglese si concretizza in un inattesa opera dal sapore storico/ fantastico, un concept che racconta l'evoluzione e le peripezie di quell'ominide partito migliaia di anni fa dalle fredde terre di Doggerland per arrivare fino ad oggi attraverso le varie epoche storiche.
 
Va subito detto che “Homo Erraticus” non è la terza parte di “Thick As A Brick” sotto mentite spoglie, e non basta la presenza del personaggio principale Gerald Bostock a suggerire improbabili collegamenti. Le differenze più evidenti si manifestano dal lato prettamente musicale: siamo di fronte infatti a un excursus antropologico che è senza dubbio il legittimo erede del primo episodio della saga, ben più del secondo. Mentre questo regalava sì spunti interessanti, ma alla lunga diluiti in una generale monotonia di fondo, “Homo Erraticus” va oltre grazie a un piglio brillante e imprevedibile. “Homo Erraticus” non è un monolite, a differenza del suo predecessore: se “Doggerland” rispolvera l’heavy rock abbinandolo a un eclettismo e a un brio che mancavano da parecchio in un disco dei Tull (o di Anderson, che dir si voglia), “Heavy Metals” trasuda tutta l’ironia di un pezzo acustico che porta un titolo del genere. E' stupefacente il modo in cui Ian Anderson recupera l’ispirazione per un disco di autentico progressive rock che non conosce cali di tensione. “Tripudium Ad Bellum” è l’ennesima prova strumentale dominata dall’estro del suo flauto, e che prende tutto ciò che passa dall’epicità solenne di “Puer Ferox Adventus” fino alla vivacità di “The Engineer” e "The Turnpike Inn", in cui incalzanti riff di chitarra si incastrano alla perfezione nella consueta cornice folk. "The Browning Of The Green", assieme all'opener e alla conclusiva "Cold Dead Reckoning" costituiscono invece l'architrave robusto di Homo Erraticus, guidato dalle chitarre heavy che da sempre caratterizzano il sound della band.

“Homo Erraticus” è un condensato di storia del mondo: Celti e Normanni, Paleolitico ed Età Vittoriana, le guerra mondiali e l’uomo sulla luna, social network e sviluppo sostenibile convivono in quella che sicuramente è l’opera più ambiziosa di Ian Anderson, almeno nei contenuti tematici. Quelli musicali sono quelli che si convengono a un progetto tanto ambizioso: non è la perfezione dell’universo andersoniano, ma ci si avvicina parecchio. Lunga vita al pifferaio magico, e a dischi come questo.




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