Mick Abrahams (Mick Abrahams)

I grandi della musica rock hanno spesso personalità incredibili, capaci di vedere il mondo da un’altra angolazione. Mick Abrahams non fa certo eccezione: ex chitarrista fondatore dei Jethro Tull, una delle band più influenti della storia del rock, sotto un animo guascone e pronto allo scherzo nasconde un profondo amore per la musica.

 

Intervista a cura di Riki Braga


Un amore talmente forte che nel corso della sua carriera gli ha fatto prendere decisioni drastiche, come abbandonare la “sua creatura” musicale di maggior successo per non perdere il contatto con quel tipo di musica che ama. Un amore che lo sta portando addirittura oltre i limiti fisici: nonostante 40 anni di onorata carriera e un ictus, ha ancora voglia di salire sul palco e divertire il pubblico, magari anche con qualche battuta nel suo italiano maccheronico, esattamente come ha fatto al Tenero Music Night. Un concerto dal sapore particolare, non solo per il premio alla carriera conferito dal nostro Leo Leoni, ma in quanto era il primo a distanza di tre anni, quando il suo cuore ha rischiato di cedere.

Articolo a cura di SpazioRock - Pubblicata in data: 10/09/12

Mick, com’è stato suonare dopo tre anni?


Una sensazione fantastica, sono davvero felice! Le dita sono ancora da “riaddomesticare” ma ho visto che il pubblico si è divertito e questa è la cosa più importante. Inoltre ero accompagnato dalla Crossfire Blues Band, un gruppo davvero talentuoso e numeroso: è bello essere in tanti a suonare su un palco!


E che impressione ti ha fatto il Ticino?


intervista_mickabrahams_03Un posto meraviglioso! Ho visitato Lugano e Tenero: davvero belli. Poi anche il pubblico era caldo ed entusiasta. Credo proprio che tornerò… Ma fa sempre così caldo? (ride, ndr).


Hai cominciato a suonare negli anni ’60, un fantastico periodo per la musica in Inghilterra.


Eravamo così giovani e stupidi! C’eravamo noi coi Jethro Tull, poi i Rolling Stones, i Beatles, i Pink Floyd, i Faces di Rod Stewart… Il meglio della musica mondiale era lì. L’aria era vibrante, collaboravamo molto tra artisti, era facile trovare l’ispirazione e fare qualcosa di buono


Oggi è così diverso dagli anni sessanta?


Mi sembra che oggi sia diventato più importante diventare famosi piuttosto che mostrare il proprio talento. Le collaborazioni non sono più scambi di idee ma operazioni commerciali. Non fraintendermi: gruppi pieni di talento ci sono ancora, ma sicuramente non li passano alla radio o in televisione.


Che ricordo hai dei Jethro Tull? Sei andato via perché hai litigato con il cantante Ian Anderson?


Dei Jethro Tull ho un ricordo fantastico, ci siamo divertiti ed è bello sapere che siamo apprezzati a distanza di quarant’anni. Alcune nostre canzoni hanno fatto la storia della musica: è un onore! Del rapporto con Ian ho sentito di tutto: è vero che spesso abbiamo litigato, ma sono andato via semplicemente perché volevamo due cose diverse. E sono contento così.


E dopo i Jethro Tull hai fondato i Blodwyn Pig, una band forse sottovalutata…


Penso anche io lo stesso. Assieme a me c’erano ottimi musicisti (eravamo anche un po’ pazzi!) e abbiamo fatto due album di grande successo in Inghilterra. Ultimamente comunque tanti musicisti ci hanno riconosciuto molti meriti sulla nostra influenza sul progressive rock. Questo fa piacere. I Blodwyn Pig sono stati una band innovativa: ho avuto tanto, ma mi hanno tolto altrettanto. Per me è stata dura lasciare la band e ho aspettato molto prima di rimettermi a suonare in pubblico.


E cosa ti spinge dopo tanti anni a suonare ancora?


Io amo la musica. Suono Blues, una musica che tira fuori i sentimenti e quando sono con la mia chitarra sono felice. E sono felice quando vedo che la gente ancora si diverte. Tre anni fa ho avuto un ictus e ho capito ancora di più quanto sono fortunato e quanto senta il bisogno di suonare. Ho avuto tutto dalla vita e non ho più aspettative: voglio solo divertirmi e passare bei momenti con tutti voi!

 

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La tua carriera è stata ricca di successi, ma anche di brusche frenate. Hai qualche rimpianto?


No, tutto quello che ho fatto l’ho fatto col cuore e sono contento di non aver mai accettato compromessi. Se ti devo dire un rimpianto… Nel 1969, condividevo l’appartamento con Mick Taylor, che sarebbe diventato il chitarrista dei Rolling Stones. Un giorno chiama Mick Jagger e chiede di Taylor. Glielo passo, parla un po’ con Jagger, riattacca e mi dice: “Mi ha appena chiesto di unirmi alla band. Cosa rispondo?”. E io: “Digli che vado io”! Forse dovevo essere più convincente! A parte gli scherzi, non guardo troppo al passato ma al futuro, e conto di tornare presto in Ticino per fare qualcosa con i Crossfire e con Riki Braga, che mi ha fatto scoprire il Ticino!




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