Katatonia
The Fall Of Hearts

2016, Peaceville Records
Progressive

Strano il percorso di un artista: cresce con la propria musica, si evolve, dona alla stessa il suo tocco personale ed unico mentre cerca di esprimere le proprie sensazioni e ciò che vive...
Recensione di Matteo Galdi - Pubblicata in data: 19/05/16

Strano il percorso di un artista: cresce con la propria musica, si evolve, dona alla stessa il suo tocco personale ed unico mentre cerca di esprimere le proprie sensazioni e ciò che vive. Crescendo, maturando accresce in esperienza e può stravolgere completamente il suo modo di suonare, comporre, esprimersi. Spesso ci si accorge di quanto tempo passa contando gli anni trascorsi da una certa data e tirando le somme, guardando come tutto è cambiato. Ed ecco che gli anni '90, la scena black metal del nord Europa ed i Katatonia di quel tempo non sono mai sembrati tanto lontani.

 

A guardarli ora i Katatonia sembrano più consapevoli di loro stessi, di ciò che sono e ciò che vogliono essere: non più quindi una mera band, seppur rinomata, inclusa in un movimento artistico ed etichettata sotto un certo genere musicale. E "The Fall Of Hearts" sin dall'attacco diretto - senza intro alcuno, "ex abruptu" - di "Takeover" mette in chiaro le sue intenzioni. La band ha tutto in testa e riesce a dirlo, il lavoro appare pressoché simile al precedente "Dead End Kings" ma si eleva al un livello mai raggiunto in passato: frutto di anni di perfezionamento tecnico, esperienza, una crescita artistica continuativa e costante. I brani non seguono più ormai strutture predefinite, la destrutturazione esclude quindi strofe riproposte ed "incastonate" nel pezzo o ritornelli scontati dietro l'angolo. Ci si ritrova proiettati al centro del pezzo, senza intro e senza preavviso.

Gli svedesi sono ora un gruppo progressive, trovano la propria ideale dimensione nella giusta via di mezzo tra sonorità tipiche del doom e del gothic, marchio di fabbrica tipico della loro "seconda era" musicale - moderna quindi - e continui rimandi settantiani. Gli anni '70, periodo in cui si sperimentava per la prima volta il suono ovattato e psichedelico del Moog, la febbrile tensione di ascoltare uno strumento che era perfetto come tappeto sonoro, ideale nel supportare trame di si elevata difficoltà tecnica, ma estremamente ricercate e mai fini a sé stesse, eleganti e raffinate.
Gli sforzi in fase compositiva si ritrovano esattamente in un sound studiato nei minimi dettagli, davvero nulla è fuori posto (anche grazie ad una produzione ed un missaggio davvero perfetti). La seconda e terza traccia, rispettivamente "Serein" e " The Old Heart Falls" sono l'emblema di quanto detto: due brani melodici davvero emozionanti, tastiere e chitarre si intrecciano in melodie da brividi mentre tutta la tensione si scarica in un chorus che raggiunge l'anima. Si, entrambi i pezzi. Ci si chiede cosa potranno comportare nel pubblico dal vivo due brani del genere.

 

Scelta di stile quasi parallela per certi aspetti ai loro conterranei e fratelli di sangue Opeth (che dal 2011 hanno intrapreso con "Heritage" un percorso davvero simile) od ai norvegesi Ulver, ormai quasi la one man band del geniale Garm, che spaziando tra industrial ed elettronica potrebbero sembrare almeno cinque gruppi diversi sotto lo stesso nome. Il cantato in growl, simbolo della scena estrema di inizio anni '90 è stato abbandonato prima da Jonas Renske e successivamente dallo stesso Mikael Akerfeldt, che prestò la voce al secondo disco dei Katatonia "Brave Murder Day" ed al progetto parallelo di entrambe le band, i Bloodbath.
La voce di Jonas non è mai stata tanto sognante come nella splendida "Shift", una semi-ballad etera ed onirica. Echo, delay, arpeggi ipnotici, un piano che dà colore al brano ed intaglia fraseggi che trascinano l'ascoltatore verso la propria dimensione interiore e potrebbero ammansire la più feroce delle belve. La band preme poi sull'acceleratore in "Serac", terzo singolo rilasciato e presentato per l'occasione di venerdì 13 Maggio, considerato il giorno più triste e lugubre dell'anno: in primo piano l'utilizzo abbondante della doppia cassa da parte del nuovo talentuoso Daniel Moilanen e gli efficaci riff di stampo death metal dell'ormai veterano membro fondatore Anders Nyström (il quale merita una menzione speciale per il maestoso lavoro compiuto in questo ottimo platter).

 

"The Fall Of Hearts", esce ad esattamente 25 anni dalla nascita dei Katatonia ed in ogni sfumatura che se ne può cogliere è racchiuso perfettamente il quarto di secolo di carriera della band. Esce a dieci anni esatti dell'ormai pietra miliare, intoccabile, "The Great Cold Distance": un augurio è che il nuovo, decimo e validissimo album possa detronizzarlo, e tra dieci anni essere a sua volta scavalcato e così via, ancora ed ancora...

Sicuramente a "The Fall Of Hearts" basterà molto meno di un decennio per colpire tutti al cuore.





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