Possiamo quindi prendere "Carnage" in modo completamente isolato dalla recente discografia dei Bad Seeds? Nemmeno per sogno, si tratta anzi di un disco che ha saputo unire componenti diverse dell'universo di Cave, un disco dinamico che fa susseguire momenti e stati d'animo contrastanti, con un preciso verso di lettura. È "Hand Of God" ad aprire il disco e ad illuderci con pochi secondi di stampo puramente "Ghosteen", prima che un gioco di volumi e di componenti elettroniche trascinino l'atmosfera in un contesto claustrofobico che ci accompagnerà per le prime tracce. Anche la voce di Cave sembra cambiare, non più piena e delicata, ma più aspra e rauca, mentre la mano di Warren Ellis guida l'atmosfera cupa del brano alternando pennellate di archi e sonorità industrial/drone.
"Old Time" sembra trascinarci ancora più giù nella cupezza di "Carnage", con una base jazzata che viene costantemente sporcata da interventi scomposti, ora del piano, ora di una chitarra fortemente distorta. Le classiche figure Caveane sono sempre molto presenti. Dio è ovunque, ma allo stesso tempo sembra non avere potere davanti a tutto quello che vede accadere sotto di sé. Sembra voltarsi dall'altra parte mentre la voce di Cave si fa ancor più cruda ed arrogante in "White Elephant", dove entra nei panni del suprematista bianco, armato e seduto su una sedia della sua veranda. "I'll shoot you in the fucking facе if you think of coming around here", recita il poeta mentre qualcuno si inginocchia sul collo della libertà, "The statue says: I can't breathe".
"White Elephant" è il brano più diretto in cui Cave e Ellis rappresentano, senza mezzi termini, tutta la bassezza in cui ci troviamo. Ma "White Elephant" è anche il brano della svolta, il brano in cui tutta la cattiveria e la meschinità vengono ribaltate improvvisamente e soffocate in un coro sempre crescente, un coro di consapevolezza che prende il totale sopravvento nella seconda parte della traccia. Un coro di unità e consapevolezza che è intelligentemente abbinato ad un approccio di registrazione in stile wall of sound, in cui lo spazio musicale viene riempito e reso sempre più denso, accatastando pianoforte, chitarre, sempre più voci fino a riempire ogni singolo spazio in un climax davvero efficace. Da questo momento, tornano ad aprirsi gli spazi, le melodie si fanno più dolci e oniriche, riabbracciando a pieno lo stile di "Ghosteen".
È in questa seconda parte dell'album che gli artisti lasciano trapelare una nuova luce di speranza. "Albuquerque", "Lavender Fields" e "Shattered Ground" si susseguono lente sulle basi di pianoforte e synth, con la voce di Cave che torna delicata a descrivere pace e spiritualità. I brani qui sono forse colpevoli di un'eccessiva ripetitività in alcune strutture e il risultato è un ristagno maggiore rispetto alla scorrevolezza e imprevedibilità dell'incipit. Si tratta sicuramente di tracce meno dirette che richiedono anche un repentino e non scontato cambio di mood nell'ascolto, ma che comunque nella loro profondità non possono che farsi apprezzare.
Il nuovo capitolo aperto con "Carnage" ci lascia piacevolmente sorpresi per le potenziali nuove direzioni che Nick Cave e Warren Ellis, con o senza Bad Seeds, promettono di mettere in campo in futuro. Sebbene non ostenti nulla di completamente nuovo, il sound si veste di componenti varie e a tratti sperimentali, in un disco che sa mutare la sua forma e farsi percepire in modi diversi in diversi ascolti.