Immortal
Northern Chaos Gods

2018, Nuclear Blast
Black Metal

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 01/07/18

Che il gelido regno di Blashyrkh potesse definitivamente sgretolarsi in seguito all'abbandono di Abbath dopo una serie di peripezie legali, sembrava oramai un evento malinconico e inevitabile: complice la perniciosa tendinite acuta di Demonaz (qui l'intervista) e un paio di full-length scarsamente ispirati a livello di songwriting, un destino avverso era in procinto di mettere la parola fine al leggendario moniker Immortal. Tuttavia, a nove anni dal modesto "All Shall Fall", un colpo di coda imprevedibile consegna al corposo liber della nera fiamma un nuovo capitolo della saga del combo dei fiordi: Harald Nædval riprende saldamente in mano la chitarra e le redini della band e, coadiuvato dallo straordinario Horgh alla batteria e da Peter Tägtgren dietro la console, oltre che session man al basso, torna tra gli oscuri pinnacoli di quel frostbitten kingdom protagonista assoluto della discografia dei norvegesi. 
  
 
Certo, con "Northern Chaos Gods" non assistiamo alla nascita di un sound inedito né a particolari sperimentazioni: tuttavia l'aspetto sicuramente vincente risiede in una ritrovata e viscerale autenticità old school, in grado di posizionare l'album una leggera spanna sopra le contemporanee release estiva targate Marduk e Craft. Rifferama articolato e tagliente, tremolo picking impetuoso, influenze thrash, passaggi melodici, squarci solenni, velocità forsennata e cadenze mid-tempo, produzione al medesimo istante nitida e lo-fi: una serie di ingredienti in cui si insinuano sottili e circospetti i Bathory di "Hammerheart", ovvero il celebre concentrato grezzo e lineare di heavy e viking metal già presente in magna copia nel lavoro solista del mastermind di Bergen "March Of The Norse" (2011) e ora accolto nell'opus del fratello maggiore. Introspezione, misticismo e spirito guerriero rappresentano il cotè lirico di una tracklist che coniuga violenza e magia evocativa nel solco di un "Battles In The North" (1995) rivisto e corretto, meno intransigente, ma altrettanto freddo e selvaggio.


I primi secondi della title track che aprono il platter illustrano lo stato di forma attuale dell'act: nel mezzo di esplosioni brutali e fraseggi serrati, il refrain risulta pienamente catchy, con l'ugola del singer impegnata nella proposizione di uno scream penetrante e cavernoso, mentre il drumming di Reidar Horghagen furoreggia in preda a un'orgia di classici quanto furenti blastbeat. Le pennate zanzarose di "Into Battle Ride" non precludono alla pista di inserirsi in un clima di grandeur epica, evidente del resto negli accordi elaborati e nella sei corde apocalittica di "Called To Ice". Se lo standard "Grim And Dark" pone l'accento sul ritmo e l'aggressività, pur non rifiutando l'afflato melodico celato nel complesso ordito strumentale, gli arpeggi in clean di "Gates To Blashyrkh" e le cupe gradazioni dell'atmosferica "Mighty Ravendark", ricordano consapevolmente, quasi a mò di tributo, il pezzo più noto dei nostri, l'iconica "Blashyrkh (Mighty Ravendark)". L'immaginifica e lievemente progressive "Where Mountains Rise" contribuisce davvero, insieme alla coppia di brani testé citata, a schizzare i contorni di un'aura invernale inquieta e dispotica che "Blacker Of Worlds" non fa altro che ricalcare con superiore piglio facinoroso.

 
Lucidi e concreti, gli Immortal badano al sodo: senza preoccuparsi di apparire ripetitivi e, anzi, ribadendo con forza la fedeltà a determinati stilemi, gli scandinavi confezionano un LP solido, privo di visibili difetti come di brillanti highlights. Benché non esattamente all killer, no filler, il lotto di "Northern Chaos Gods" lascia in ogni caso persuasi sulla bontà del percorso intrapreso da Demonaz e soci, teso alla rivalutazione storica del culto oscuro per antonomasia: la marcia dei demoni del ghiaccio non conosce sosta alcuna.





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