The Beatles
Revolver

1966, Parlophone
Rock

Recensione di Costanza Colombo - Pubblicata in data: 05/08/17

«Provarono a riascoltare tutto in reverse, semplicemente per sentire come usciva.» [Geoff Emerick]

 

"Revolver" è in effetti un disco da ascoltare al contrario. E non perché celi, come "I Am The Walrus", indizi sulla presunta morte di Paul McCartney. Anche volendo, la leggenda metropolitana secondo cui il prematuramente scomparso bassista sia stato rimpiazzato da un sosia, per non stroncare sul nascere la fama mondiale dei The Beatles, vuole che il presunto incidente si sia verificato alle 5 del mattino del 9 novembre 1966 mentre il qui presente album venne pubblicato il 5 agosto dello stesso anno.

 

La ragione per cui, più che in reverse, si consiglia di approcciarsi alla tracklist partendo dal fondo è esemplarmente espressa dallo spassionato consiglio in apertura all'ultima traccia: "Turn off your mind relax and float down stream..."

 

«Per 'Tomorrow Never Knows' (John, ndr.) voleva che la sua voce risuonasse come se si trattasse di cantici del Dalai Lama declamati dalla cima di una collina. Gli dissi: 'Temo che sia un pochino costoso andare fino in Tibet, non potremmo farlo qui?'» [George Martin]

 

Ad accoglierci nel reame lisergico a cavallo tra Abbey Road e i crinali dell'Himalaya è un ipnotico e cantilenante John Lennon, sublimemente accontentato dal genio di George Martin nel creare un sound orientaleggiante, e al contempo metafisico, arricchito da innovativi (per l'epoca) effetti sonori e l'ininterrotto riverbero dei piatti in sottofondo. Ideata come guida sonora per i consumatori di LSD alle prime armi, la sbalorditiva "Tomorrow Never Knows" è solo una delle tracce del disco dedicata al consumo di stupefacenti. Risalendo la tracklist si trova infatti "Gotta Get You Into My Life", che sembra anticipare quanto poi Paul approfondirà coi The Wings, camuffata da canzone d'amore, e pure "Doctor Robert" ispirata a un medico Newyorkese dalla prescrizione facile.

 

"Revolver" è la prova generale del "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" che vedrà la luce poco meno che un anno dopo. Ne anticipa la sperimentazione tecnica ma risulta decisamente meno organico, affiancando cavalli di battaglia dei Fab Four a brani che, seppur apprezzabili (ovvero la tripletta centrale che inizia con "She Said She Said" e culmina con la scanzonata "And Your Bird Can Sing", oppure la dolcezza di "Here There Everywhere"), non hanno certo contribuito all'immortalità dei Liverpuldiani.

 

Già l'artwork è forte indizio di come i quattro di "Rubber Soul" stavolta siano usciti dalla loro forma umana per impersonificare personaggi d'altrui fantasia. Nel dettaglio si tratta di quella di Klaus Voormann, amico e artista amburghese a cui la copertina fruttò, oltre che le lacrime di gioia di Brian Epstein, £40 e un Grammy 'For Best Album Cover'.

 

«Quando un giorno Lennon mi telefonò per chiedermi:'Hai qualche idea per la nuova copertina?' pensai: ‘Merda! Fare la copertina per la band più famosa del pianeta!' In momenti del genere potevi facilmente dimenticare che un tempo erano stati degli sbarbatelli di Liverpool. Pensai, 'Mio Dio, non posso farlo!'» [Klaus Voormann]

 

I The Beatles non sono più infatti soltanto i ragazzi ambiziosi del The Cavern bensì già i protagonisti di quei tabloid ritagliati e riassemblati nel collage realizzato dall'artista e musicista tedesco per colmare gli interstizi tra i disegni a biro e inchiostro in copertina. Così come quelle immagini, lo stesso suono dell'album è frammentata collezione, frutto del mix inserito nelle magic box di George Martin e restituito all'ascoltatore dopo un esordio di metamorfosi.

 

"You tell me that you've heard every sound there is" cantano loro. E noi, tra il basito e l'ammirato cerchiamo di raccapezzarci su come sia stato possibile mettere in fila l'eterna malinconia della perpetua (e non solo in senso temporale) "Eleanor Rigby", l'infantile divertimento di "Yellow Submarine" e la surreale armonia che schiude le porte ad un nuovo livello di percezione sonora, ancora da affinare.

 





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