Nell’universo musicale dei primi Tristania tutto era concesso, o quasi. Se le ingrate etichette delle quali noi recensori troppo spesso siamo costretti ad abusare non ci fossero avverse, per delineare in maniera precisa il genere proposto dalla formazione norvegese nel lontano 1999, dovremmo, senza porci troppi problemi, parlare di uno stravagante gothic metal dalle tinte sperimentali. Un tempo Morten Veland, storico fondatore della band (oggi comodamente adagiato sugli allori dei suoi Sirenia), si divertiva infatti a giocare con la materia della musica più oscura, plasmandola attraverso la forza dirompente del suo ineguagliabile estro. Ed è per questo motivo che due tra i picchi più alti di un’intera corrente musicale, quella del gothic metal a doppia voce (conosciuta altrimenti col simpatico appellativo “beauty and the beast” e destinata, forse anche a causa di un declino generale nella qualità delle pubblicazioni, ad essere bistrattata negli anni a venire) portano impresso il nome di questa band.
“Beyond The Veil” vede la luce ad un solo anno di distanza da quel “Widow’s Weeds” che riuscì ad inserirsi con prepotenza sulla scia dei maestri Theatre Of Tragedy (tra i primissimi, insieme a The Gathering, The 3rd And The Mortal e pochi altri, a dare alla voce femminile un ruolo di grandissima rilevanza all’interno di un gruppo metal), tracciando una strada che, da quel momento in avanti, avrebbe fatto da guida a tanti altri artisti; su questa impervia via si possono intravedere diversi filoni musicali, mescolati con grande sapienza per ottenere un nuovo e (per l’epoca) inimitabile stile. Scorgiamo, tra questi cupi recessi, una sana dose di death/doom (quello che fece scuola nelle terre d’Albione grazie ai lontani parenti Paradise Lost, Anatehema e My Dying Bride e che venne successivamente rinominato ‘gothic’), ma possiamo intravedere, allo stesso tempo, l’austerità di certa musica classica (le impeccabili prestazioni delle due voci soliste, la leggiadra Vibeke Stene ed il lugubre Østen Bergøy, donano al disco un’invidiabile raffinatezza operistica), la tipica malinconia della rimpianta darkwave ottantiana, i magici virtuosismi del violino di Pete Johansen (colui che ha reso indimenticabile l’esordio dei The Sins Of Thy Beloved), così come gli ancor vaghi accenni di quell’elettronica che avrebbe poi caratterizzato il disco successivo dei Nostri, “World Of Glass”. Il tutto viene unificato in dieci tracce che si dipanano con fantasia ed imprevedibilità, guidate dalla sapiente mano di Morten Veland (suoi sono i tipici testi a metà tra enigmaticità e romanticismo, le chitarre ed il cavernoso growl) e di Einar Moen, tastierista dall’indiscutibile sensibilità.
Tra gli episodi che hanno fatto storia del genere ricordiamo il singolo “Angina”, tremendamente ‘catchy’ ma ancora lontano dalla prevedibilità degli innumerevoli epigoni del nuovo millennio, l’epica titletrack (quanto vorremo ascoltare un’opener altrettanto travolgente al giorno d’oggi!), la bizzarra “Opus Relinque” (una deviante commistione di death metal, tastiere futuristiche e canti gregoriani) e la decadente “A Sequel Of Decay”, fregiata da una Vibeke Stene che, vibrante come le corde di un violino e soave come il suono dei tasti bianchi e neri, riesce a metterci i brividi. “Beyond The Veil” è una meta obbligatoria per tutti coloro che vogliono ritrovare le radici del gothic metal, lontane ed ineffabili, come le antiche divinità elleniche raffigurate in copertina.