Torna dopo ben dieci anni dall'ultimo album completamente originale Gordon Sumner, meglio noto come Sting, musicista che definire eclettico sarebbe un understatement grande come la Torre di Londra. Allontanatosi dal sound fortemente influenzato da R&B e hip-hop di “Sacred Love”, nel corso dell'ultimo decennio l'ex frotnman dei Police si è dedicato ad un percorso di ritorno alla tradizione, virando verso lidi intrisi di folk e tradizione, che raramente vedono chitarre e bassi elettrici in scena, ma lasciano spazio ad atmosfere più intimistiche e tradizionali, come visto in “Songs From The Labyrinth”, disco in cui Sting interpreta i brani del compositore rinascimentale John Dowland assieme al liutista bosniaco Edin Karamazo, e in seguito con “If On A Winter's Night”, concept album basato sul romanzo “Se Una Notte D'Inverno Un Viaggiatore” di Italo Calvino.
“The Last Ship” è, musicalmente, la diretta continuazione di quanto iniziato con l'album del 2009, in cui si ode qualche eco di opere più datate. È un album quasi completamente acustico, eccezion fatta per un paio di brani (“And Yet”, “Sky Hooks And Tartan Paint”), ispirato alla opera omonima scritta dallo stesso Sting che dovrebbe debuttare a Broadway il prossimo anno, e che affonda le proprie radici nell'Inghilterra dei porti, dei marinai e delle leggende marittime, del continuo andirivieni di persone diverse da tutto il mondo e dai ricordi d'infanzia dello stesso Sting, qui riportati in un'opera organica e ben strutturata, in cui è intessuto un racconto molto intimo e piacevole da ascoltare.
Per quanto riguarda i testi, è tutto abbastanza semplice: i personaggi si raccontano a cuore aperto, in varie forme. Chi in prima persona, chi in terza, la sostanza non cambia. Come sempre in un album di Sting, i testi hanno uno un valore a sé stante, la poesia delle parole è unica e inimitabile, tipica del musicista inglese, che porta la figura del paroliere ad un altro livello, per quanto riguarda la musica rock, assieme ad altri suoi musicisti suoi contemporanei nel corso degli anni. Esempio perfetto tratto da “The Last Ship” è “The Night The Pugilist Learned How To Dance”, pezzo molto semplice nell'aspetto musicale ma eccezionale nella poesia evocata dalle parole che narrano una storia un po' alla Billy Eliott, con un protagonista già cresciuto e già pugile che impara a ballare per amore di una donna. Dal punto di vista testuale, quindi, siamo ai massimi livelli concepibili nella musica odierna. Il talento poetico di Sting continua indisturbato a tirare fuori dal cilindro pezzi che, se presi solo per l'aspetto testuale, sarebbero meritevoli di essere studiati nei libri di scuola nella sezione Poesia.
Musicalmente, però, “The Last Ship” non è immune a qualche problema. Per dirla in poche parole, la prima parte fa sbadigliare. Per ampliare il discorso, si può dire che la title-track, in cima alla tracklist si impone pesantemente a livello qualitativo sui pezzi che la seguono. Bella, coinvolgente e catchy al punto giusto, lascia poi spazio a ben quattro brani del tutto dimenticabili, che se anche non ci fossero non se ne sentirebbe la mancanza. Sono i pezzi più legati al jazz e al rock, quelli che hanno strutture più canoniche per quanto riguarda il concetto di disco rock piuttosto che ad un disco folk. Quei cinque brani sono una sorta di buco nero di noia che solo “The Night The Pugilist Learned How To Dance” risollevano. La leggerezza di questo pezzo, unito alla poesia del testo e alla storia stessa narrata fanno impennare la qualità del disco, che rimane costante fino alla fine. La ricchezza degli ospiti, tra cui spicca Brian Johnson, arricchisce ulteriormente la proposta musicale dell'album, rendendolo più tridimensionale e piacevole da ascoltare. E a proposito di ospiti, come non citare la splendida “Shipyard”, contenuta sfortunatamente solo nella Deluxe Edition dell'album in cui tutti i guest si alternano a cantarne dei brani.
È bello comunque ascoltare la lenta ma inesorabile discesa verso il folk. “The Last Ship” parte con una distinta impronta jazz mescolata a qualche eco rock che ricorda dischi come “The Dream Of The Blue Turtles”, attraversa un brutto periodo - purtroppo noioso - e si risolleva, quasi fosse un pallone pieno di elio con una leggiadria che non è propria della musica folk, ma che Sting riesce ad implementare quasi senza fatica e va a chiudere l'album con dei pezzi veramente molto belli.