Finalmente anche il Frantic Fest, dopo ben tre anni, torna a far gioire gli amanti del rock e del metal estremo. Sì, perchè dopo un’edizione come quella del 2019, con una line-up mostruosa comprendente band del calibro di Voivod, Napalm Death, Discharge, Eyehategod (e molti altri), mai avremmo voluto vivere una pausa forzata di tale caratura. Ma le trame di quello che è sembrato a tutti gli effetti un film apocalittico sembrano aver trovato una via di distensione: e allora ci ritroviamo di nuovo tutti, come una congregazione, al Tikitaka Village di Francavilla al Mare per il ritorno di uno dei festival che, negli ultimi anni, ha portato in alto il nome del metal nel centro Italia (e non solo).

Il day 1 del Frantic Fest si presenta bello corposo ed invitante sin da subito, sole e nuvole si sfidano a duello quando gli Oreyeon inaugurano lo small stage del festival: il quartetto spezzino fa vibrare gli amplificatori ed inizia ad animare una già gremita platea con una mezz’ora abbondante di stoner rock ruvido, caloroso e distorto. Il tempo vola, che già iniziamo il pellegrinaggio verso il main stage, dove uno dei big name della giornata comincia ad inspessire l’atmosfera: sono gli attesissimi Messa a lasciare le prime impronte sul palco più grande della “frenetica” rassegna musicale, già ospiti di quest’ultima in occasione della sopracitata edizione del 2019. Performance di carattere, quella della giovane band italiana, salita meritatamente alla ribalta con l’ultimogenito “Close”, onorato on stage attraverso le eccellenti esecuzioni di “Dark Horse”, “Suspended” e “Pilgrim”, con un po’ di spazio anche per qualche chicca del passato come “Leah”, banco di prova perfetto per la splendida voce della frontman Sara B.

Dal doom fortemente melodico della band veneta, ci addentriamo verso lande più buie col doom dalle tinte black dei NAGA, trio partenopeo che irrompe nelle nostre orecchie con un muro di distorsione imponente, sorretto dagli scream del frontman, velenosi e pungenti come siringhe sottopelle. Un’atmosfera sulfurea, monolitica, quasi soffocante quella che si è venuta a creare nello small stage, ma il tempo di fare la spola verso l’altro lato, che ci ritroviamo alla corte degli storici Ufomammut, che ci deliziano con un viaggio sonoro e visivo nei meandri della loro musica. Con oltre vent’anni di carriera sulla spalle, la band di Tortona, fresca di uscita del nuovo “Fenice”, ci immerge in uno psichedelico trip tra le infinite sfumature del loro concept musicale, incorporando i dettami dello stoner e sfiorando venature sludge, psych ed i rintocchi granitici del doom.

Dall’altra parte ci aspettano i giovani Nero Di Marte, un altro gioiello del metal italiano: il loro è un progressive metal dall’intreccio fitto, ricco di informazioni musicali, che viaggiano tra ritmi contorti, schizofrenici, a tratti forsennati, a tratti mansueti. Insomma, la solita prova di spessore che riesce ad ipnotizzare il pubblico, completamente in balìa della mareggiata post-metal della formazione bolognese, che ci trascina, come relitti abbandonati, sulle rive desertiche dei Nebula: la storica formazione losangelina, capitanata da Eddie Glass, ricompone un’ambientazione più arida, dove lo stoner e l’hard rock possono regnare incontrastati, tra pezzi classici (“To The Center”), ai convincenti estratti del nuovo “Transmission From Mothership Heart”. Un calore, quello restituitoci dai Nebula, che va a stagliarsi sul freddo muro messo su dagli OvO, forse la proposta musicale più particolare del primo giorno del festival: duo misterioso, artefice di un noise metal (se così possiamo chiamarlo) straniante, che penetra nella pelle attraverso i suoi ritmi ancestrali ed il ronzìo inquietante della sei corde, che vanno a mescersi con gli scream lancinanti della frontwoman.

Ingrigito l’ambiente attorno a noi, arriva finalmente il momento più atteso: sono appena passate le 23:30, quando i Godflesh si stagliano sul main stage come due colossi marmorei, pronti a calpestarci con la potenza di un martello pneumatico. Titani dell’industrial più cupo e metallico, Justin Broadrick e G. C. Green non hanno bisogno di particolari coreografie o attrezzature: bastano le immagini inquietanti sul fondo ad accompagnare il loro delirio sonoro, una vera e propria caduta nell’abisso più buio e spaventoso, animato dai colpi nevrotici, ossessivi della drum machine, che viene imbrigliata dai fendenti noise del chitarrista in una martellante “Pulp”, nel compulsivo svolgimento di una “Jesu” proprompente o nella funerea marcia della devastante “Like Rats”. Lo spettacolo del duo di Birmingham è il claustrofobico attraversamento di un tunnel infinito, dove nel nero dell’oscurità ci sentiamo rincorsi dalle amorfe creature che abitano i nostri peggiori incubi.

Ci pensano i NunSlaughter col loro roboante death metal a tagliare il traguardo della prima, grande giornata del festival: gradito ritorno per tutti gli appassionati della musica estrema, il Frantic Fest si riconferma, ancora una volta, una delle migliori rassegne metal della penisola. Due palchi che garantiscono musica non-stop, evitando le noiose attese per il cambio strumentazione, tante divertenti attività di contorno, numerosi stand di merchandise, libri, magliette e LP e, soprattutto, tantissima ottima musica concentrata nella splendida cornice di Francavilla Al Mare. Una giornata attesa da troppo tempo e che non ha deluso le aspettative: lunga vita al Frantic Fest e a tutte quelle realtà che si sbattono per tenere sollevato, il più in alto possibile, il glorioso stendardo del metal.

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