In questi due anni, a ognuno di noi sarà successo di dover aspettare mesi e mesi prima di ritrovare un amico lontano e di sentirsi nuovamente e inesorabilmente a casa una volta riusciti nella piccola impresa di riabbracciarlo. Ecco, questo è pressappoco ciò che è successo ieri sera all’autodromo di Imola mentre, nell’ultima luce del tramonto, un gruppo di oltre 50 mila amici si è ritrovato per riabbracciare i Pearl Jam. C’è chi attendeva dal 2019, con il biglietto già assicurato nel cassetto, con sopra stampata, come un triste memento, quella data del 2020 che non c’è mai stata, c’è chi invece si è deciso all’ultimo minuto, scapicollandosi per trovare un agognato pit gold. Il risultato non cambia: sotto il cielo stellato della cittadina emiliana famosa per le corse e i motori, i Pearl Jam hanno ritrovato la propria famiglia italiana ed è stato come un lungo, fortissimo abbraccio… o come un sogno realizzato, secondo le parole di un Eddie Vedder visibilmente commosso durante il suo solito discorso in italiano a beneficio del suo pubblico.

Ma andiamo con ordine: il caldo rovente della pianura padana è implacabile ma non ha impedito il riempimento della venue già dalle prime ore del pomeriggio; sono i White Reaper e i Pixies a lenire la calura con i loro show energici e scanzonati ma l’attesa, si sa, è tutta per la band di Seattle che si presenta sul palco poco dopo le 21:30, accolta da un calorosissimo applauso, che spazza via la tensione di un’attesa durata decisamente troppo.

Si parte immediatamente con una tripletta tiratissima di grandi successi della band: “Corduroy”, “Even Flow” e “Why Go”, una dopo l’altra fanno scatenare l’intero autodromo, è una vera e propria esplosione di adrenalina e carica che vede l’intera band in forma smagliante: il chitarrista Mike McCready è una macchina da guerra che macina riff e assoli, divertendosi anche a suonare con i denti per la gioia del pubblico, e seguito a ruota dal collega Stone Gossard, Jeff Ament e Matt Cameron sfoderano una sezione ritmica solida e potente mentre Eddie Vedder canta, salta e corre, ridendo e divertendosi come un ragazzino. Saranno stati i due anni di riposo forzato, ma era da tempo che non si vedevano dei Pearl Jam così affiatati e tonici, nonostante qualche anno e qualche ruga in più; si riprende un po’ il fiato con “Elderly Woman Beyond the counter in a small town” e quando Vedder canta “My God it’s been so long/ Never dreamed you’d return/ But now here you are and here I am” sembra davvero descrivere nel dettaglio il momento in corso. Non mancano i brani di “Gigaton”, l’ultimo lavoro in studio della band di Seattle, uscito proprio a marzo 2020. “Dance of the clairvoyants” e “Quick Escape” sono le prime ad essere proposte e si amalgamano bene con il resto della scaletta, fatta per la maggior parte da grandi classici e che vedrà l’assenza totale di cover, che solitamente non mancano nelle scalette dei Pearl Jam.

“Jeremy” regala grandissime emozioni al pubblico di Imola, così come la malinconica ballata “Come back”, dedicata da Vedder a un membro del fan club italiano che ha perso da poco il fratello. È un momento toccante dello show, che denota il profondo legame dei Pearl Jam con i propri fan e non è l’unico della serata di Imola: Vedder ferma più volte il concerto vedendo dal palco persone in difficoltà e non riprende finché non è certo che la persona interessata sia stata soccorsa a dovere; più o meno a metà show nota in prima fila una piccola fan di soli 10 anni con i suoi genitori, si dice molto colpito dalla sua presenza ma anche innervosito dal fatto che una bambina così piccola sia in quella posizione, per quanto privilegiata. La soluzione di Eddie? Far salire la piccola e il suo papà al lato del palco per godersi il resto del concerto in tutta sicurezza. Non capita spesso di vedere una tale devozione verso i propri fan e l’autodromo non esita ad accogliere con grandi ovazioni questi momenti. È anche questo che contribuisce a far sentire ogni singolo spettatore a suo agio, a casa.

Vedder e soci non risparmiano neanche un briciolo di energia, si susseguono brani recenti come “7 ‘O Clock” e successi passati come “Daughter”, preceduta da un duro attacco contro la recente decisione della corte suprema americana sull’aborto e un monito di Eddie a non abbassare la testa quando i diritti fondamentali vengono calpestati. Il primo set si conclude con una “Porch” al cardiopalma, con il solito duo McCready/Gossard a farla da padrone su ogni centimetro del palco. Ogni tanto invece spunta, oltre al ben noto polistrumentista Boom Gaspar, che accompagna i Pearl Jam da ormai 20 anni tondi tonti, un altro volto noto ma decisamente inaspettato per i più: è Josh Klinghoffer, ex chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, che si cimenta tra tastiere e percussioni nella maggior parte dei brani più recenti della band di Seattle. L’encore, se così si può chiamare, è davvero l’apoteosi: “State of love and trust” infiamma l’autodromo, “Black” e “Better Man” una dopo l’altra donano una lunga e fortissima emozione, rendendo difficilissimo non commuoversi, ma sono solo la preparazione per una “Alive” da manuale, cantata a squarciagola, come un’unica voce, liberatoria come solo una canzone iconica come questa può essere. Dopo due anni di sacrifici e rinunce, è quasi catartico urlare “I’m still alive” sotto il cielo estivo, insieme ai propri amici, alla propria famiglia o anche da soli ma sempre, sentendosi, di nuovo e finalmente, a casa.

C’è ancora tempo per la dolcezza di “Yellow Ledbetter” a chiudere uno show di oltre due ore e mezza che è una vera e propria montagna russa di energia ed emozioni, dosate sapientemente da una band che ormai è da annoverare con pieno diritto tra le più grandi della storia del rock.

Setlist:

Corduroy
Even Flow
Why Go
Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town
Dance of the Clairvoyants
Quick Escape
MFC
Jeremy
Come Back
Save You
Wishlist
Do the Evolution
Seven O’Clock
Daughter
Given to Fly
Superblood Wolfmoon
Lukin
Porch
State of Love and Trust
Black
Better Man
Alive
Yellow Ledbetter

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