PFM - All The Best
04/04/17 - Teatro Brancaccio, Roma


Articolo a cura di Valerio Cesarini

Premiata Forneria Marconi: quei ragazzi capelloni, col nome strano, che già facevano chiedere ai nostri genitori che cosa stessero facendo.
Certo, quarant'anni dopo ci si aspetta un grosso cambiamento: in un Brancaccio strapieno, ovunque sold out già una settimana prima, la PFM che sale sul palco è ben diversa da quella che accompagnava il buon Fabrizio De Andrè qualche decennio fa.
Con Franz Di Cioccio e Patrick Djivas come unici membri fondatori, a braccetto con l'eterno Maestro Lucio Fabbri, il palco è riempito da giovani certezze della musica suonata italiana: Roberto Gualdi dietro le pelli, Alessandro Scaglione alle tastiere, Alberto Bravin, anch'esso dietro ai synth, alla voce. Ma soprattutto Marco Sfogli, lo stesso Sfogli dei dischi di Labrie, alle chitarre, visto il recente abbandono di un Franco Mussida un po' provato, desideroso di dedicarsi ai numerosi impegni artistici fuori dalla PFM.

 

Se un nucleo che ha superato la mezza età e un gruppo in generale un po' "incerottato" possono far temere un concerto quasi parodistico, però, bastano le prime, primissime parole di un Di Cioccio randagio per gridare il contrario, per dichiarare la voglia immortale di fare musica vera: "Marco Sfogli, facci un ritmo". Il concerto comincia così, con una grande jam, e con il nome del nuovo arrivato più altisonante, che deve vestire dei panni decisamente difficili da portare. Ed è questa, paradossalmente, la forza di questa PFM, ed in generale, l'intelligenza di un gruppo che si vede costretto a cambiare uno dei membri più importanti: non mirare al clone, ed abbracciare la nuova scelta.

 

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Marco Sfogli è un virtuoso, un chitarrista di stampo moderno, con suoni più taglienti, puliti più fini, in generale capace di mettere il più alto numero possibile di note nel giusto punto. E questa è la china che segue l'ennesima incarnazione di uno dei gruppi prog più longevi d'Italia, nella cui evoluzione c'è proprio la chiave della sopravvivenza, non tanto nei nomi dei componenti, nè nell'appoggiarsi ai passati fasti, ma nella immutata voglia di stare sul palco e "Suonare suonare".

 

Il concerto, come annunciato da Di Cioccio, è lunghissimo: due ore e mezza di note e sudore, per un pubblico prevedibilmente piuttosto eterogeneo – chi scrive si è ritrovato seduto in mezzo ad un gruppo di quindicenni.
Per la voglia di suonare che hanno, Di Cioccio e compagni non hanno paura a far seguire, ai primi pezzi più incentrati sullo strumentale, molti dei brani storici, a partire da "Dove Quando", seguita da "La Carrozza Di Hans" e da una "Impressioni Di Settembre" incredibilmente salva dall'abbandono di Mussida, con Di Cioccio più che convincente dietro il microfono e un'impronta rock anni '90 data dal nuovo approccio di Sfogli.

 

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Non ha paura la PFM di sparare subito le cartucce pesanti, proprio per dichiarare che avranno sempre della polvere nei loro fucili, che non si smette di suonare, che non rimane mai solo il nome. Nel tour All The Best non può mancare l'inevitabile prosieguo con l'alternanza di inni prog e brani di nicchia dai vari album della loro carriera; lo strumentale è, come sempre, vivo e vivido, incalzante ed eseguito alla perfezione. Luci quasi eccessive, Djivas quasi eccessivo, ma si ricordi che la musica suonata, il progressive se proprio dobbiamo lasciare le etichette, non si è mai fondato sulla timidezza esecutiva.
A proposito, ci sarebbe da disquisire per ore sulla perizia e sulla particolare identità di ciascuno dei musicisti sul palco, dalla voce assurda di Bravin all'eterno, elegantissimo Lucio Fabbri; dalle tastiere al violino, gran protagonista della parte finale del concerto, dedicata a Fabrizio De Andrè con gli arrangiamenti rock di "Volta La Carta" e del "Pescatore". L'ultimo quarto d'ora viene dedicato all'ennesima dichiarazione d'amore verso la musica, la vita e il proprio pubblico: una Celebration stracolma di interventi, movimento, coinvolgimento chiude un evento a cui potevamo essere abituati qualche anno fa, e che grazie al cielo rimane più vero che mai.


La PFM non può morire, non può bruciarsi, perchè ancora prima di Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Lucio Fabbri, la PFM è la passione per la musica, per il palco e per le emozioni, l'esuberanza di uno strumento.
Unico neo: la PFM è probabilmente il gruppo prog più famoso e caratteristico d'Italia, con una carriera spaziale e variegata. Il gremito Brancaccio, teatro nel centro della Capitale, di certo è un palco lusinghiero, come lo è stato – per un volume di pubblico ovviamente leggermente inferiore per band prog come i New Trolls; come le sale dell'Auditorium Santa Cecilia ospitano artisti come i Marillion. Ma è possibile che il progressive, tanto osannato dalle orde di musicanti, non riesca (più) a sfondare le porte dell'indoor, a far alzare i culi dalle sedie, a riempire una piazza con migliaia di persone?
I dischi non si vendono, i giovani si lamentano di essere nati nell'era sbagliata (mah...); la musica live è la più grande speranza: andate ai concerti.




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