"Non abbiamo bisogno di qualche tipo di educazione o che qualcuno ci imponga cosa pensare, sappiamo benissimo farlo da soli". Eppure com'è possibile che una cosa apparentemente così naturale per l'uomo diventi qualcosa di strutturalmente difficile? L' "Us+Them" tour è proprio questo: un caldo e bruto invito ad una riflessione ragionata che si evolve in un appello a reagire, ad "essere veramente umani".
Un appello che anche ieri sera, 18 aprile, l'ex Pink Floyd ha rivolto al pubblico italiano, nella seconda data milanese della sua discesa in terra italica che proseguirà a Bologna con altri quattro appuntamenti. Davanti ad un Milanofiori Forum sold-out, lasciandosi introdurre da versi di gabbiani, rumore di onde, urla e dall'immagine di una donna ripresa di schiena in riva al mare, Waters compare nella maniera più immediata e impattante possibile. Giochi di luci ed immagini sostengono "Speak To Me" e fanno subito rizzare i peli sulle braccia.
Le prime attenzioni dell'ex bassista dei Pink Floyd sono per il capolavoro di "The Dark Side Of The Moon", con i tocchi morbidi di "Breathe" e i ticchettii di "Time". Waters e la sua band immergono subito lo spettatore in un mondo onirico e realistico, desolato e affollato, oscuro e luminoso, quasi in una sorta di processo catartico, bellissimo e orribile, volto a ri-umanizzare l'essere umano. Un processo che si avvale di musica e di immagini, in una perfetta commistione che non consente di concentrarsi singolarmente su un elemento piuttosto che l'altro, ma che costringe ad uno sforzo, ad un'esperienza totale in cui orecchie ed occhi sono entrambi chiamati ad essere al pieno delle proprie funzionalità sensoriali. E così via sullo sfondo una serie di immagini: mani, teste mozzate, puntini brillanti, elementi psichedelici ed elementi realistici cuciti insieme.
Le angeliche voci di Jess Wolfe e Holly Laessig sostengono magistralmente "The Great Gig In The Sky", prima che Waters proponga le prime note di "Welcome To The Machine". Ed è proprio su questo brano che il musicista inizia ad allargare le braccia, a portarle verso l'alto, ad indirizzarle al pubblico, a destra e sinistra: l'esortazione, la riflessione, l'appello.
"È davvero questa la vita che vogliamo?": pensa, uomo, perché restare cieco ed immobile proprio nel momento in cui dovresti alzare gli occhi e correre? Perché è così difficile reagire? Perché è così difficile restare umani? Una serie di quesiti vengono vomitati sul pubblico proponendo le canzoni del suo ultimo album, "Is This The Life We Really Want?": nell'ordine "Deja Vu", "The Last Refugee", "Picture That" catapultano lo spettatore in uno scenario di guerra ed orrore, impotenza e immobilità. Indifferenza.
Waters guarda il pubblico, lo cerca, si avvicina ad esso, cerca la sua approvazione. La platea è totalmente immersa in una dimensione surreale, guarda educatamente verso il palco, canta, muove le braccia, ma con moderazione e "timor del grande", con rispetto e devozione, conscia che quella che sta vivendo è un'esperienza profonda, conscia di essere di fronte ad un pezzo di storia, a puro spirito di ribellione e protesta.
La dolce apparizione della chitarra acustica e l'introduzione delle prime note di "Wish You Were Here" fa tirare fuori gli smartphone più o meno a tutti i presenti in sala. Qui il pubblico si concede il permesso di accompagnare con il canto il musicista, che garantisce una performance semplicemente carica di un miscuglio di emozioni vorticose.
La calma apparente torna a fare spazio alla protesta, con un'esecuzione spettacolare di "Another Brick In The Wall". Sul palco un gregge di giovani incappucciati con la divisa di detenzione di Guantanamo che urlano in un'unica voce insieme a Waters in una coreografia decisamente imponente, dal simbolismo estremo, dal significato chiaro: "Resist". Waters ci tiene a precisare che i ragazzi sono di Milano, quasi a voler dire "Paese che vai, resistenza che trovi".
Appena 20 minuti di pausa e lo spettacolo riprende, questa volta meno incentrato sui "fatti" e più sui "fautori" dei fatti. La centrale elettrica di Battersea si materializza in mezzo agli spettatori con tanto di "Algie", lì in alto, a vegliare su tutto. La centrale si erge a mò di muro, a voler ricordare che c'è qualcosa che continua a dividere "noi" da "loro" e che la priorità è quella di individuare questo qualcosa per rimuoverlo, per distruggere la distanza e ripristinare l'unione, o meglio, l'umanità.
Quale miglior modo di far polemica se non attraverso "Animals"? Si inizia con "Dogs" e con i suoi giochi di luce ed immagini colorate, leggermente psichedeliche, sostenuto da una messa in scena con tanto di maschere da cane indossate da Waters e compagnia cantante in un quadretto tanto impattante quanto inquietante, di caos e confusione. Con "Pigs" l'ex Pink Floyd da il via alla sua filippica più che diretta contro Donald J. Trump, il cui faccione opportunamente ritoccato e ridicolizzato colora ogni qualsivoglia angolo del palazzetto; persino Algie adesso -sottoforma di drone- fa la sua magistrale concreta comparsa gravitando sulle teste dei presenti tenendo sul suo pancione il messaggio "Piggy Bank Of War".
La Battersea/muro diventa adesso carta dove imprimere le diverse "perle di saggezza" uscite dalla bocca di Trumpo. L'attacco verso il Presidente Statunitense è rabbiosamente crudo e, alla fine -come se non si fosse ancora capito chiaramente- Waters lo proietta, direttamente in italiano: "Donald Trump è un maiale". La polemica contro "le mani che detengono il potere" continua con "Money": tutti lì, proiettati, i poteri grossi, il Dio denaro, la "saggia politica", frammenti che si alternano ad immagini di povertà, di guerra, di violenza. Una bilancia che pende da un lato: è questo il mondo che vogliamo veramente?
Il muro adesso scompare e lascia posto di nuovo ad immagini attuali e vere: il dolore che il mondo è costretto a sopportare.
Ed ecco che con "Us And Them", il bassista ce lo spiattella di nuovo in faccia, rimarcandolo opportunamente con le storiche "Brain Damage" ed "Eclipse", un susseguirsi di parole e musica che sono lì apposta per ricordarci che non è poi cambiato così tanto. Un prisma di luce infine emerge, con tanto di luna che -prevedibilmente- lascia intravedere solo il suo lato oscuro.
Waters adesso si ferma e parla al pubblico: una riflessione che vede protagonisti i nomi di Trump, di Theresa May, Macron, Berlusconi. "Facciamo capire a loro che a noi interessa il nostro futuro e il futuro dei nostri figli. Riorganizziamo il mondo" e anche "Il mondo sarebbe un posto migliore senza armi nucleari". Waters guarda il pubblico: a destra, a sinistra, al centro. Raccoglie gli applausi e si stringe le braccia sul petto, nel tentativo di racimolare tutta l'energia che il pubblico gli sta donando e nella speranza di aver ancora una volta lasciato qualche segno.
Due perle più che appropriate chiudono lo spettacolo. Le note di "Mother" travolgono, le parole picchiano nella testa: "Mamma, dovrei costruire il muro? Mamma, dovrei diventare presidente? Mamma, dovrei fidarmi di chi governa?", "Col Cazzo" risponde Waters. Ed infine, dopo tutto, non poteva che fare la sua magistrale comparsa "Comfortably" Numb", anch'essa opportunamente sostenuta da uno stupendo gioco di fasci di luce e dall'alto tecnicismo dei musicisti di Waters che hanno garantito un'eccellenza straordinaria. E' questo il nostro destino, diventare - o peggio restare- piacevolmente insensibili? Sulle ultime note della canzone, Waters scende dal palco, cerca le mani della platea, saluta e ringrazia, poi sale di nuovo sul palco. Sarà l'ultimo a lasciarlo.
Roger Waters conserva e preserva intatto quello spirito da giovane ribelle che noi giovani ribelli del 2018 non capiremo mai appieno, vuoi per abitudini, vuoi per contesti sociali e periodi storici differenti, vuoi per pigrizia o per insensibilità. E questo spirito si sente nella sua voce, si legge nei suoi occhi, si vede nei suoi gesti e nelle vene che si gonfiano sulle sue braccia. La musica di Roger Waters ha sempre cantato l'umanità, le relazioni umane, l'alterità, si è sempre fatta carico dell'indifferenza dell'uomo nei confronti di ciò verso cui non dovrebbe essere indifferente. Roger Waters è sempre stato un convinto acceleratore di riflessione.
"Un uomo come lui si arrende solo quando muore", diceva David Gilmour.
Roger Waters è arrabbiato e continuerà ancora ad esserlo.
Setlist
Speak To Me
Breathe
One of These Days
Time
Breathe (Reprise)
The Great Gig in the Sky
Welcome to the Machine
Déjà Vu
The Last Refugee
Picture That
Wish You Were Here
The Happiest Days of Our Lives
Another Brick In The Wall Pt. 2-3
Dogs
Pigs (Three Different Ones)
Money
Us and Them
Smell The Roses
Brain Damage
Eclipse
Encore
Mother
Comfortably Numb