Arcade Fire
Funeral

2004, Rough Trade
Pop Rock

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 13/06/12

Il funerale. Ohibò, e di cosa? Della musica pop come l’avevamo intesa fino al 2004? Certamente eccessiva e tremendamente sensazionalistica, nonché inutilmente giornalistica, questa provocazione non è affatto sterile, poiché dal 2004 qualcosa, nella musica contemporanea, è cambiato. Quel qualcosa è dovuto all’esordio discografico dei canadesi (ma totalmente americani d’origine) Arcade Fire, giunti con “Funeral” al travagliato primo parto dopo il classico EP di presentazione.

Ordunque, per capire il motivo per cui “Funeral” è il disco leggendario che è, bisogna cominciare a studiare la geografia della band, nata dall’unione di Win Butler (voce e chitarre) e Josh Doe: il gruppo parte da Boston carico di un bagaglio di rock’n’roll alla Elvis Presley e della musica country tanto cara al sud degli USA, per poi approdare alla multicultural Montreal, dove Win incontra la polistrumentista Régine Chassagne, colei che, tra le altre cose, è destinata a divenire in breve tempo la moglie del cantante. Régine dunque insegna al futuro marito tutto il suo amore per gli anni ‘70, per le tutine di lustrini ed i pattini a rotelle, dando vita, in tempi assolutamente non sospetti, a tutto quel movimento retro-maniaco destinato ad infestare il panorama musicale per gli anni a venire. Nel mentre, la prima formazione della band, assolutamente instabile, si sfalda, nuovi membri si sostituiscono a quelli vecchi (tra cui il fratello di Win, William, al basso ed alle percussioni), ma rimane l’intuizione geniale, il quid segreto dell’allora quintetto: rendere tutto estremamente moderno in fase di arrangiamento, rendendo il passato sì riconoscibile, ma vestito da strati su strati di una veste sontuosa e multicolore, un tessuto finemente intrecciato di archi, xilofoni, fisarmoniche e – diamine – anche sintetizzatori.

Certo, le buone idee non servono a niente se non sono sostenute da delle buone canzoni, e su questo disco di canzoni buone non ne troverete affatto: ne troverete di eccezionali! A partire da “Wake Up” – una delle canzoni pop più epiche mai scritte nella storia della musica tutta – per passare dalla rilettura assolutamente personale del classico lento da ballroom del liceo di “Crown Of Love”, senza disdegnare la luminosità smaccatamente pop del sole dei caraibi perfettamente rappresentato su “Haiti”. Ancora, come tacere dello splendore luminoso degli archi che decorano l’incipit di “Neighborhood #1 (Tunnels)”, dove pare di sentire un caldo sole di melodia riflesso ed amplificato dalla neve, o l’energica rabbia – sempre e comunque beneducata – di una “Rebellion (Lies)”? Ad aggiungere confusione a questo caos assolutamente ordinato, lo scambio di voci tra Win e Régine, il passaggio dall’inglese al francese (“Une Année Sans Lumiere”), ed una baraonda sonora talmente personale, che dall’uscita di “Funeral” si usa spesso l’aggettivo “Arcade Fire” per definire una particolare tipologia di musica leggera in chiave rock (avete idea di quante volte il sottoscritto ha usato il giochino solo quest’anno? Credo almeno una decina, e siamo solo a metà 2012…).

Insomma, la luce di cui risplende questo inciso è di quelle che ti fanno usare la parola “seminale” non a sproposito. Anzi, di più: oggi questo disco si prende “9”, ma non è da escludere che, con gli anni, arriverà qualcun altro, da qualche altra parte, e si accorgerà di quanto bene sia invecchiata l’opera, quanto suoni moderna pur essendo con lo sguardo continuamente fisso verso il passato, e solo per questo alzerà ancora il punteggio, e così via. In altre parole, “Funeral” condivide il destino dei grandi classici della musica, uno di quei dischi immortali che fanno meritare ad una band ogni singola oncia di riconoscimento ottenuto… E c’è da dire che, in questa ottica, i ragazzi si meritano di avere tra i loro fan più speciali un certo David Bowie (per dire). 

Con queste premesse, concludere dicendo che questa meraviglia in formato ottico non deve mancare in nessuna collezione di nessun amante della buona musica (senza definizione di genere: musica e basta) è quantomeno ridondante, eppure in un qualche modo necessario. Perché se qualcosa è morto a seguito di questo funerale, la tristezza del cordoglio diviene immediatamente esaltante gioia, nel sentire cosa è nato da quelle spoglie.




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