Arcade Fire
Reflektor

2013, Merge
Indie Rock

L'ambizione dei canadesi regala l'ennesima prova di classe

Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 28/10/13

Quando “Reflektor” incalza, seducente, sempre uguale e sempre diversa, prima o poi arriva un momento in cui noti che manca qualcosa. D'accordo, che sia tutta un'altra musica rispetto a “Funeral” già si sapeva, e non dovrebbe essere questo a deludere vecchi o nuovi ascoltatori. Eppure in questo lavoro c'è qualcosa. Qualcosa di molto ambizioso, perché non lascia quella voglia di evolvere la propria parabola musicale, ma addirittura la “raddoppia” in due CD. Ma anche qualcosa in meno, innegabilmente, rispetto al passato, ed è difficile definire cosa sia in una parola sola.


Tutti noteranno per prima cosa che il sound non è più appoggiato su quell'architettura folk, new wave e sulle magniloquenti orchestrazioni: in media “Reflektor” preferisce il suono più asciutto dell'elettronica, che cambia veste a piacimento lungo la scaletta trasfigurando come Re Mida ogni genere che tocca. Un'altra evidente peculiarità è la lunghezza media dei brani (pochi sono sotto i 6 minuti), che a guardarla sembra già annoiare, ma ad ascoltarla si rivela il felice esito di un'efficiente filosofia compositiva. Infatti i canadesi hanno capito con astuzia che la loro forza più travolgente è saper arrangiare, colorare e variare un tema; poco importa se quella stessa idea, in mani diverse, farebbe ben poca figura. Il nuovo approccio, già evidente nel singolo di lancio omonimo, esplora tutto il potenziale delle loro eterogenee divagazioni, senza la fretta dei tempi radiofonici. Ogni secondo passato ad ascoltare con attenzione cosa succede in quei sette e passa minuti che attraversano “Reflektor” rivela che ben poco si ripete uguale: come arrangiamento ed equilibrio della produzione è un mezzo miracolo, se consideriamo che una melodia in sé povera d'inventiva, così incoronata, tiene banco per tutto quel tempo. E se due dischi vi sembrano pesanti va detto che sarebbe comunque impossibile snellire questo album per farne una "versione radio" o per gente impaziente, perché la bellezza dell'opera è tutta lì: nella sua esplorazione ed espansione. E tagliando quelle di “Reflektor” resterebbero solo briciole.

 

L'esplorazione degli Arcade Fire, però, non si sviluppa solo nel tempo, ma gioca anche a fare propri svariati generi, anche insoliti per loro. Qualcuno magari si farà una risata nel vedere i Nostri alle prese col calipso caraibico (“Flashbulb Eyes”, “Here Comes The Night Time”) rievocando certe colonne sonore alla Bud Spencer e Terence Hill; oppure altri storceranno il naso sentendo un basso alla “Like a Virgin” (“We Exist”). O potrebbe semplicemente sgorgare la nostalgia di quel fulgore orchestrale che tanto emozionava e che ora non c'è più. Ma, piacciano o meno gli ingredienti di queste variazioni, sull'abilità esecutiva non si può eccepire.


La prima parte convince soprattutto nell'ultima “Joan of Arc”, nel tentativo riuscitissimo di rubare il mestiere ai Kasabian più sinistri ed elettronici (dopo essersi concessa una fulminante sfuriata hardcore). Nel secondo disco, invece, Win e Regina sembrano fare sul serio e là segnano i migliori risultati, due in particolare. “Awful Sound (Oh Eurydice)” è una delle più belle canzoni che gli Arcade Fire abbiano mai scritto; la prima strofa prende in prestito gli accordi da un' autentica perla nascosta, “Out” dei White Heaven, ma la citazione, voluta o no, non sminuisce la dolcezza abbagliante che s'assaggia non appena il brano sale d'intensità. La canzone è fatta di una sincera melodia, di un'arrangiamento abbacinante; è un concerto di poesia. Segue degnamente “It's Never Over (Oh Orpheus)” mantenendo alcuni suoni presi in prestito dalla 80s disco, che spesso ha influenzato il gruppo canadese, e li colloca in contesto più teso e drammatico in grado di evolvere espressivamente lungo quasi sette minuti.


Cosa manca allora ai nuovi Arcade Fire? Sono cambiati mantenendo un'impronta riconoscibile, hanno osato trovando un'interessante formula di “pop espanso”, hanno deposto uno scintillante modo di arrangiare sostituendolo con un altro diverso, ma non meno di classe. Forse non manca nulla, allora. Forse è semplicemente quella sensazione che si prova quando, per nostra volontà, si cambia paese, o si lascia qualcuno, che pur ci piaceva. E' un' amara sensazione. Ecco, loro erano tanto bravi prima; e molto lo sono ancora. Ma, amaramente, neanche più gli stessi.





CD 1

01. Reflektor
02. We Exist 
03. Flashbulb Eyes 
04. Here Comes The Night Time 
05. Normal Person 
06. You Already Know 
07. Joan of Arc

CD 2

01. Here Comes The Night Time II 
02. Awful Sound (Oh, Eurydice) 
03. It's Never Over (Oh Orpheus) 
04. Porno 
05. Afterlife 
06. Supersymmetry

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool