The Cure
Wish

1992, Fiction Records
Darkwave

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 18/07/10

A tre anni da “Disintegration” i Cure se ne escono con questo “Wish”, ed è tutta un’altra musica. Molto più solare e meno claustrofobico del predecessore, questo disco si muove su coordinate più orientate verso il pop/alternative rock, reinterpretati ovviamente nel classico stile della band britannica. A motivi facilmente orecchiabili, talvolta positivi, più pieni di speranza (come suggerisce il titolo stesso del lavoro) se ne aggiungono altri più intimi e riflessivi, che chiudono il cerchio di quello che potrebbe essere un concept incentrato sull’amore ed i suoi risvolti.

“Open” e soprattutto “High” descrivono perfettamente questo nuovo mood della band: chitarre dagli arpeggi spensierati ed agili, una voce più distesa (seppur carica di quell’indicibile nostalgia di fondo che ben conosciamo) ed una generale ariosità fanno sentire lontani i tempi cupi e rosso sangue di “Pornography” o “Faith”, sembra che quell’uomo, una volta sull’orlo del baratro, si sia ripreso e si sia rigenerato. E’ con “Apart” però che si piomba nuovamente, anche se momentaneamente, in un’atmosfera fredda e di abbandono, dettata dall’incomunicabilità tra due anime che si amano (o che vorrebbero amarsi). Splendida la voce sussurrata di Smith, un gelido bisturi che va a cauterizzare delle ferite a lungo lasciate aperte e che non intendono risargire, con un ritornello consolatorio che si erge a summa di tutta la canzone (“Come abbiamo fatto ad allontanarci così tanto/eppure una volta eravamo così vicini...”). Sono semplici parole che descrivono uno stato d’animo che può essere descritto soltanto da chi l'ha provato, un senso di impotenza e annientamento, un taglio netto alle gambe, alla tua storia. Capolavoro pure la successiva cavalcata “From The Edge Of The Deep Green Sea”, guidata da una chitarra distorta che rianimerebbe anche le anime più disilluse. Sicuramente molto più intraprendente della precedente traccia, emozionante in modo diverso perché più movimentata nel tentativo di risollevare e di spronare l'ascoltatore, questa resta una delle punte di diamante del disco.

La struttura portante del disco è fatta secondo l’intrecciarsi delle tre tipologie di pezzi finora già visti: ad ottime canzoni più spensierate (“Doing The Unstuck”, la celeberrima “Friday I’m In Love”) si allacciano altre più decadenti e altre ancora più energiche, dall’animo renitente e animate dalla voglia di combattere e reagire. La rassegnata “Trust” calca un po’ i territori di “Apart”, ma lo fa in modo più sognante e dolce, mentre “A Letter To Elise” è un’opera in sé stessa, una bellissima traccia agrodolce che ferisce con il sorriso sulle labbra e le lacrime negli occhi. “Cut” rappresenta l’ultimo sussulto energico nel disco: uno Smith declamatorio, decisamente in forma anche quando si trova ad affrontare parti più rabbiose, ci prende per mano attraverso un percorso fatto di amori infranti, liti, riappacificazioni, rotture definitive, attraverso chitarre tortuose e ritmiche labirintiche. E’ comunque una presa di forza che si esaurisce nella desolante rassegnazione di “To Wish Impossible Things”: l’uomo si trova davanti alla realtà dei fatti, ciò che ha sempre desiderato, la pace del suo cuore, non ci sarà, almeno non ancora. L’idealizzazione, il sogno, il “desiderare cose impossibili”, tutto ciò si frantuma di fronte ad una verità schiacciante ed annientante. Eppure questa rivelazione viene accettata, la vita va avanti, anche se con sofferenza si deve andare oltre e proseguire.

Si chiude “Wish”, album lirico, poetico, toccante e dolce dei Cure, l’apertura di un nuovo corso. Smith e compagni sono maturati, il sogno adolescenziale, le paure adolescenziali, il nichilismo causato dalla perdita di identità, tutto sembra essere stato lasciato alle spalle ora. Davanti ancora il mondo realtà, stavolta però affrontato con un’ottica più costruttiva ed attinente ai fatti.




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