Loreena McKennitt
The Book Of Secrets

1997, Quinlan Road
Folk

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 07/10/10

Il viaggio, non la destinazione, diviene fonte di meraviglia. Alla fine, mi chiedo se uno dei passaggi più importanti del nostro viaggio sia quando decidiamo di gettare via la mappa, e ricordarci che ognuno di noi non è altro che un’estensione della nostra storia collettiva”. Con queste meravigliose parole, Loreena McKennitt introduce il suo sesto album in studio “The Book Of Secrets”. La Musa ha perso la bussola? Non direi. L’impressione generale di “The Book Of Secrets” non è altro che il consolidamento di quanto era già stato espresso in “The Mask And Mirror”: gli orizzonti e le destinazioni sono ancora lontane, variegate, spesso ignote. Per questo si ha come l’impressione, suggerita da Loreena stessa, che questo album sia una sorta di mosaico, senza alcun apparente filo conduttore. Una novità, poiché sinora ogni album di Loreena aveva uno scopo ben preciso, fissava una meta al suo viaggio.

Ad ogni modo, stupisce che dopo un capolavoro assoluto come “The Mask And Mirror”, la nostra cantautrice canadese riesca a produrre un album di similare portata artistica. Ho messo le mani avanti, ma i tratti comuni tra i due album sono troppi: anche qui c’è la ballata commerciale (“The Mummer’s Dance” – un inatteso successo radiofonico in America e Canada), la preghiera rivolta al Divino (“Dante’s Prayer” – che condivide con “Full Circle” la stessa intensità emotiva, lo stesso vocalizzo destabilizzante e catartizzante che porta con davvero troppa facilità alla commozione), la classica suite da antichi poemi della letteratura inglese (“The Higwayman” – da una poesia di Alfred Noves, una canzone epica, talmente ben riuscita che il sottoscritto la ritiene anche superiore a “Lady Of Shalott”), la ballata dallo speziato sapore orientale (“Marco Polo”).

Diversamente dall’album precedente, tuttavia, abbiamo anche canzoni come la strumentale “La Serenissima”, dedicata alla nostra Venezia, “Night Ride Across Caucasus”, che riprende il tema conduttore dell’album (il desiderio di svelare i segreti, di far luce sui misteri), e la malinconica desolazione di “Skellig”. Differenze tuttavia minimali: talmente continuo il senso che la musica di “The Book Of Secrets” suggerisce, che risulta davvero impossibile stabilire a priori se sia meglio questo album od il suo predecessore. Badate bene: tutto questo non è un difetto, poiché non sto parlando di ripetitività, piuttosto di familiarità, di un senso, appunto, del continuo che prevede proseguimento, progressione. Per velleità di critica redazionale, quella strumentale di troppo porta il sottoscritto a considerare più importante “The Mask And Mirror” rispetto a “The Book Of Secrets”, senza nulla togliere al fatto che entrambi i dischi siano assolutamente imprescindibili per chiunque si dica amante della musica folk.

Sembra davvero incredibile, ma tutto quello che Loreena McKennitt toccava nella seconda metà degli anni ’90 non diveniva oro… di più: un diamante destinato a perdurare in eterno nella storia della musica. Un miracolo che, tuttavia, non era destinato a durare: la tragedia era dietro l’angolo, e avrebbe portato presto nefaste conseguenze non solo sulla vita privata della Musa, ma anche sulla sua musica, lasciandoci ancora oggi con un pesante interrogativo che necessita assolutamente di risposta. Ma questa è una storia che vi racconterò quando vi parlerò di “An Ancient Muse”. Per ora, accontentatevi di avere dato una sbirciata al libro dei segreti di Loreena McKennitt, acquisendo una conoscenza musicale che vi porterete dentro per molti anni a venire.



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