Virgin Steele
The Black Light Bacchanalia

2010, Steamhammer/SPV
Epic Metal

La ricetta dei nuovi Virgin Steele: passione, voglia di suonare e onestà
Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 27/10/10

L’attesa per il nuovo album di una delle band portabandiera dell’epic metal, gli statunitensi Virgin Steele, era, com'è logico aspettarsi, grandissima. Vuoi per l’importanza storica della formazione (nel 2011 la il gruppo festeggerà il trentesimo anno di attività), vuoi per la loro peculiarità nel genere o per semplice e genuina curiosità musicale, questa dodicesima pubblicazione è indubbiamente una delle più attese dell’anno. A quattro anni di distanza dal precedente “Visions Of Eden”, platter che, diciamocelo, non ha soddisfatto moltissima gente a causa della sua prolissità e della piattezza di fondo, vede la luce “The Black Light Bacchanalia”, ispirato ai selvaggi e mistici festival greci e romani celebrati in onore del Dio Bacco (o Dioniso).

Il disco, cronologicamente parlando, si pone proprio dopo gli eventi narrati in “Visions Of Eden”, mettendo la parola fine ad alcune tematiche iniziate e non concluse (vedi Lilith). Il songwriting non si discosta molto dalle produzioni passate: una grande ricerca dell’armoniosità, una profonda cura della melodia e del pathos fanno da colonna portante dell’album. Le onnipresenti parti di pianoforte di David DeFeis costituiscono la pietra angolare su cui sono poggiate e costruite tutte le tracce presenti, ben undici. Le chitarre di Edward Purcino e il basso di Josh Block (che ha collaborato nella stesura di alcune parti ritmiche di chitarra), efficienti e precisi, fanno il loro pesante lavoro, non soffocando mai la voce e il già citato pianoforte. La batteria di Frank Gilchriest, invece, evitando di dare adito alle passate voci di corridoio che affermavano una poca veridicità dello strumento, sembra più vera e calda che mai; forse un piccolo dubbio lo si può avere durante una delle moltissime parti di doppio pedale disseminate per tutto il disco, nelle quali riscontriamo un suono non troppo convincente, corposo e potente.

Sulle canzoni ci sarebbe da dire molto e poco, a tratti paiono veri e propri omaggi al passato, altre volte sembrano essere brani senza anima e colore. Prendiamo per esempio la prima canzone del lotto: “By The Hammer Of Zeus (And The Wrecking Ball Of Thor)” è sicuramente lo specchio in grado di mostrarci la vera natura dei Virgin Steele nel 2010. La canzone è d’impatto, veloce ed evocativa quanto basta, le uniche pecche sono l’eccessiva lunghezza e la prolissità: otto minuti e cinque secondi che si ripetono senza soluzione di continuità. La problematica della durata si ripeterà poi anche durante la maggior parte dei brani del cd (in totale il disco arriva intorno agli 80 minuti), che al giorno d’oggi, può essere senz’altro una lama a doppio taglio se non viene trattata con dovizia di particolari. Con questo non sto dicendo che quello che abbiamo tra le mani è un album ripetitivo e noioso, ma che una sforbiciatina quì e una là avrebbero giovato alla qualità finale del lavoro; come una squadra di calcio che tesse una fitta trama di passaggi senza arrivare mai però al goal. David si prodiga in mirabolanti e funamboliche prove canore, quasi volesse tentare di raggiungere il campo degli ultrasuoni (in paio di occasioni questi falsetti io li avrei evitati, vedi “To Crown Them With Halos Parts 1 + 2”). Non esistono, ad onor del vero, canzoni brutte; l’intero platter è composto da brani di qualità mediamente buona, salvo un tris di primi di ottima fattura , “The Orpheus Taboo” per citarne uno. Tornando alla metafora calcistica di prima: tanto gioco e poca incisività.

In definitiva dobbiamo scordarci capolavori quali “Invictus”, “The Marriage of Heaven & Hell”, “The House Of Atreius” e via dicendo; dobbiamo entrare invece nell’ottica dei “nuovi” Virgin Steele, di una band che, a discapito dei trent’anni di onorato servizio, riesce ancora ad ogni modo a creare qualcosa di stimolante, sfizioso e diverso, che renda omaggio alla loro carriera e che al contempo non sia fossilizzato e stantìo come molte pubblicazioni del genere. Un album sufficiente, questo “The Black Light Bacchanalia”, che non farà certamente gridare al miracolo, ma che sarà in grado di mostrarvi come la passione per la musica, la vera voglia di suonare e l’onestà siano ancora presenti nel mondo del metal.



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