Chris Cornell
Songbook

2011, Universal Music
Alternative Rock

La voce di Chris Cornell in tutto il suo splendore
Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 21/12/11

Non tutti gli artisti, nel grande universo del rock, hanno la capacità e soprattutto gli attributi per mettere in piedi un tour acustico, rivedendo in chiave “soft” i successi della propria carriera e suonando in una cornice più adatta ad un evento simile, lontano come attitudine da un concerto in cui si è parte di una band e si ha quindi un supporto musicale diretto sul palco. A Chris Cornell, storica voce del grunge di Seattle, attivo in band del calibro di Soundgarden e Audioslave oltre che come solista, i suddetti attributi non mancano di certo: si è infatti imbarcato, tra marzo e maggio di quest’anno, in una serie di date che lo hanno visto unico protagonista del palco, accompagnato soltanto dalla sua chitarra acustica e, ci mancherebbe, da quell’ugola d’oro che Madre Natura ha deciso di regalargli 47 anni fa. E il nostro ha anche pensato bene di registrare su nastro il risultato dei suoi sforzi, facendo uscire una selezione di pezzi suonati dal vivo nelle varie occasioni del tour, che costituiscono appunto l’oggetto di questo “Songbook”.

Soundgarden, Audioslave, carriera solista, ma anche i mitici Temple Of The Dog (una band che contava nello stesso tempo Cornell e un certo Eddie Vedder, facciamo le due migliori voci degli anni ’90, che è lo stesso!) e un paio di cover: è qui il succo del disco, in pezzi presi dai vari lavori a cui Cornell ha partecipato attivamente e riproposti in chiave acustica. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, essendo canzoni costruite solo da chitarra e voce, non c’è da aspettarsi chissà quali ghirigori, poiché si va direttamente al nocciolo, magari con qualche cambio di dinamica nelle parti più leggere e un aumento di volume ed intenzione in quelle più aggressive.

Potrebbe venire il sospetto di trovarsi davanti ad un disco tutto uguale dall’inizio alla fine, senza scossoni; ma a spazzare via qualsiasi dubbio bastano pochi secondi della prima traccia, “As Hope And Promise Fade”, e soprattutto le prime frasi sospirate da Chris, che sarebbe capace di convincere anche un sordo. Si va avanti con perle del calibro di “Call Me a Dog”, uno dei momenti più ispirati dell’album, o “I Am The Highway”, tratta dal repertorio made in Audioslave, e si arriva al primo piccolo regalo: si tratta di “Thank You” dei (c’è bisogno di dirlo?) Led Zeppelin, un pezzo adattissimo alla riproposizione acustica e alle corde vocali di Cornell. Altri episodi degni di nota (detto che un elenco del genere resta soggettivo, in quanto ogni ascoltatore potrebbe preferire un pezzo rispetto ad un altro, essendo più legato ad una fase della carriera del cantante o a certi pezzi in particolare) sono “Like a Stone” e l’immortale “Black Hole Sun”, che riscuote in pieno il gradimento del pubblico. Ma, pur con due soli pezzi rimasti (in un lavoro che ne conta ben sedici), le sorprese non sono affatto finite: prima la cover di “Imagine” (stavolta davvero non c’è bisogno di dire l’autore…), cantata quasi in chiave soul dal nostro, poi la versione studio di un inedito, “The Keeper”, che vede un arpeggio folk a fare da base ad un approccio quasi da cantastorie di Cornell. In tutto ciò, l’unico appunto che si potrebbe fare è quello riguardo la scelta dei pezzi, perché magari al posto di un paio delle canzoni tratte dalla sua carriera solista Cornell avrebbe potuto inserire autentici capolavori quali “Spoonman” e “The Day I Tried To Live” dagli anni d’oro dei Soundgarden, ma di nuovo, si rientra in un discorso di gusti che può accontentare qualcuno e deludere altri.

Avevo parlato di attributi, ma se siete stati attenti anche di capacità: poco da dire, senza una voce come questa pensare di girare gli Stati Uniti solo con una misera chitarra acustica è impresa da pazzi. In sostanza, se non siete Chris Cornell (o Eddie Vedder, visto che è stato citato, o uno dei pochi altri cantanti capaci in questo senso) state a casa ed ascoltate “Songbook”, magari imparate come si fa. Sì, perché il caro Chris lo sa e se lo canta anche da solo: “No one sings like you anymore”



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