Les Discrets
Ariettes Oubliees

2012, Prophecy Productions
Post Rock/Shoegaze

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 12/02/12

Il nome Les Discrets si porta dietro, quasi a forza, anche un secondo nome: Alcest. Vuoi per il fatto che le due band condividono molte cose, dal genere di musica al paese d'origine, per non parlare del batterista. Entrambe nascono per mano di esponenti dell'underground del metal estremo francese, entrambe cantano in lingua natia. I temi trattati, lo stile e il sound si somigliano molto. Insomma, il paragone è praticamente impossibile da evitare.

Nulla di più fuorviante. Soprattutto alla luce dell'ultima fatica di Alcest, le diversità delle due band e l'approccio che determinerà le future direzioni di entrambe iniziano a farsi sentire, nonostante sia logico che i Les Discrets debbano ancora molto ad Alcest. Ma veniamo al dunque. A distanza di due anni dal debut album “Septembre Et Ses Dernières Pensées”, i Les Discrets tornano sugli scaffali dei negozi di dischi con “Ariettes Oubliées”, otto tracce più o meno lunghe caratterizzate dalla cristallinità dei suoni e dalla varietà degli stessi. Una continua alternanza tra parti pulite, arpeggi di chitarra, voci sommesse e sezioni più “dure”, con le chitarre pesantemente distorte che vanno a creare un fiume di accordi lungo il quale la voce scorre come acqua.

Di fatto, una delle caratteristiche principali di questo album è la fluidità. Ogni canzone è infatti fluida, scorre senza alcun legame o barriera che la blocchi. Sono brani diretti e di impatto, non cerebrali e complessi come a volte capita in questo genere di musica. Tracce come “La Nuite Muette” o l'acustica “Après L'Ombre” risultano, oltre che estremamente piacevoli all'orecchio, anche di facile memorizzazione, cosa assai rara in questa scena musicale. Da questo album, inoltre, fuoriesce un tocco più rock che nel precedente. La già citata “La Nuite Muette” presenta di fatto più caratteristiche comuni al rock classico che allo shoegaze, anche laddove il sound inconfondibile di questo sottogenere è ben presente e mantiene la sua supremazia. Altro brano molto “rock” è “Au Creux De L'Hiver”, che, partendo un po' in sordina, quasi si prendesse un momento per raccogliere le idee prima di scatenarsi, aumenta via via il ritmo per trasformarsi in uno dei pezzi più tirati del disco. L'album si chiude con la ripresa dell'opener “Linceul D'Hiver”, allungata di un paio di minuti nella parte finale, facendo ritornare il disco al punto di partenza grazie alla composizione ad anello, una formula che pare quasi tornata di moda negli ultimi tempi.

Rimane però il fatto che, nonostante le sostanziali differenze e le modifiche apportate al sound, la sudditanza nei confronti dei cugini più grandi si senta notevolmente. In alcuni momenti troppo. Dopo qualche giro nello stereo, l'album viene a noia e tende a diventare monotono, al punto che distrarsi dall'ascolto è facilissimo. I brani più movimentati tendono ad allontanare questa sensazione per i primi ascolti, ma già dopo il terzo, si avverte la propensione per un cambio radicale di genere che speriamo si concretizzi nel prossimo CD.





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