Pain
Cynic Paradise

2008, Nuclear Blast
Industrial Metal

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 05/06/09

Un meraviglioso coro sintetico ed elettrico, di quelli così tipicamente industrial, poi la batteria martellante, i riff di chitarre che macinano il metallo, la voce urlatissima ed incazzata di Mr. Peter “Hypocrisy” Tagtren…e in neanche 20 secondi si è subito trascinati nel meraviglioso mondo industrializzato e meccanico dei Pain con “I’m Going In” (titolo molto appropriato).
La successiva “Monkey Business” non cala di un decimo i toni tiratissimi della prima traccia, tanto che il ritmo un attimo più tranquillo della commerciale e ruffiana, ma assolutamente godibile e non fastidiosa, “Follow Me” (primo singolo estratto dall’album, molto noto per avere la voce di Anette Olzon dei Nightwish come special guest) lo salutiamo quasi con sollievo.
Ci si diverte ancora con “Have A Drink On Me”, praticamente il Jack Daniel’s theme in versione industrializzata, dove Mr. Tagtren invita, su un country rock sgangheratissimo, una gentile donzella a concederglisi…senza però avere troppe aspettative.
Aspettative che, onestamente, non le avevamo neanche noi più di tanto su questo “Cynic Paradise”, nato a neanche un anno di distanza dal precedente “Psalms Of Extinction” e soltanto, per ammissione di Peter Tagtren stesso, come riempitivo per le masse, visto che il nome Pain, già in forte ascesa dopo “Dancing With The Dead” del 2005, non era mai stato così sulla bocca di tutti grazie al tour di supporto ai Nightwish nella prima tranche del “Dark Passion Play tour”.

Certo, dopo “Have A Drink On Me” abbiamo un’assolutamente trascurabile “Don’t Care”, anche la traccia dopo non è che dica molto…e anche quella dopo, e quella dopo ancora…in effetti, bisognerà attendere il ritorno di Anette Olzon nella conclusiva “Feed Us” (a suo perfetto agio sulla musica dei Pain, 10 volte meglio della resa che ha su una qualsiasi canzone della sua band madre – e questo dovrebbe far riflettere) per avere una canzone di quelle che danno soddisfazione, grazie anche ad un interessante uso del piano al posto del canonico sintetizzatore su cui il genere industrial, giustamente, insiste.
Ed allora tornano alla mente le parole di Tagtren, e si capisce che non scherzava affatto e che non ci si doveva aspettare troppo, visto che questo album segna un mostruoso calo qualitativo nella composizione che riporta i Pain ai tempi antecedenti all’album “Nothing Remains The Same”, ovvero a quando solo una manciata di pezzi sopravvivevano ad un senso di mediocrità generale.
Senso di mediocrità generale che incombe pesantemente su questo album interlocutorio.

Si rincuorino tuttavia i fan: la maniacale pignoleria ed il perfezionismo di Tagtren è presente anche su questa sesta prova in studio, e difatti il suo tocco alla produzione negli Abyss Studios (di proprietà dello stesso Peter, ricordiamolo), oltre che immediatamente riconoscibile, restituisce un grande senso di potenza e robustezza dei suoni, e tutto l’album in generale rende benissimo.
Quello che manca, tuttavia, sono le idee, e non mi sembra poco. Peccato, perché il poker di pezzi iniziali prometteva davvero bene. Attendiamo una prossima prova più convincente da parte dei Pain, magari prendendo il tempo giusto e necessario per la composizione, senza smanie commerciali.



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