Pain
Coming Home

2016, Nuclear Blast
Industrial Metal

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 01/09/16

Se c'è una cosa che i Pain, ma più in generale Peter Tägtgren durante tutta la sua carriera musicale, sanno far bene è non prendersi sul serio. Pensate ad uno dei loro brani più famosi, "Shut Your Mouth", che si potrebbe tranquillamente definire tormentone con quel pezzettino iniziale che ti si pianta in testa ciao, non te lo scordi più, e il suo assurdo video con l'alieno. Anche nel brano più serioso c'è sempre quel quid di profonda ironia o ancor meglio caustico sarcasmo che ti fa sorridere, di solito amaramente, mentre ti godi la musica.


"Coming Home", nuovo album che esce dopo ben cinque anni dal precedente "You Only Live Twice", non è da meno. A partire dall'opener, "Designed To Piss You Off" che dal primo secondo ti fa pensare di aver scambiato CD e aver messo nello stereo (o PC, o iPod, quello che è) un disco dei Volbeat. Provare per credere.
Segue subito "Call Me", in duetto con Joakim Brodem dei Sabaton, in cui si ripresenta perfettamente l'effetto dell'ironia e dei testi un po' goliardici.
Ma non c'è solo goliardia, Tägtgren prende in prestito certe tematiche della sua band più famosa, gli Hypocrisy, come per "Black Knight Satellite" - se vi piacciono le curiosità un po' creepy o storie stile Area 51 e similari, è alquanto consigliabile farsi un giro su Wikipedia per scoprire la storia del "Satellite Black Knight" - e una buona dose di serietà condita con un po' di critica al mondo in generale e a certe belle personcine che lo abitano in "Final Crusade".


Tutto questo condito con la oramai nota salsa Pain, un mix di heavy classico, influenze techno e un bel po' di tastiere, più un tocco quasi symphonic che pare uscito dalle migliori produzioni Nightwish. Del resto, dopo ben due tour insieme, ci sta che l'eclettico Tägtgren abbia assimilato qualcosa dai colleghi finnici, anche se su "Call Me", guarda caso, si sente di più un che di Sabaton.


Il sound è quello tipico della produzione di Tägtgren si fa sentire, secco al punto da sembrare riarso, preciso e pulito, al punto da risultare asettico in certi punti. Un bene? Un male? Sta a voi deciderlo. Certo è che con un sound del genere si sente tutto, anche l'ultima nota della linea di basso che magari non è stata colpita con l'intensità necessaria per farsi sentire per bene, e tutto questo anche dagli speaker orripilanti di un monitor da PC da pochi soldi. Può piacere o meno, ma è sicuramente di una pulizia tale da permetterti di apprezzare tutte le sfaccettature di "Coming Home".


Album che in sostanza si assesta sulle corde dei precedenti, ma un po' più vario. Sono i Pain, è indubbio, ma c'è quel quid in più, quella varietà di sonorità che lo rende un piacere per l'anima, da godersi in qualsiasi momento della giornata. Non si grida al capolavoro assoluto, ma c'è parecchia sostanza in "Coming Home", è un disco ben fatto, scritto evidentemente in un momento di grande ispirazione e voglia di provare cose nuove, e il risultato è un mix di influenze disparate ma ben amalgamate in un unico album. Un ottimo lavoro, se proprio vogliamo essere riduttivi con le descrizioni, non un album geniale ci va molto vicino, sicuramente un disco molto ispirato e magnificamente eseguito.





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