Emilie Autumn
Opheliac

2007, Trisol
Industrial

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 04/03/10

Parliamoci chiaro: Emilie Autumn non ha inventato poi nulla. Mischiare industrial ad atmosfere barocche e vittoriane è una cosa da lungo praticata nel lontano Giappone, e basta citare i Malice Mizer (in attività dal 1995 al 2001) per dire un nome emblematico in questo senso. Emilie deve molto alla scena visual giapponese, lei stessa la cita nel suo website come fonte di ispirazione… Eppure non si può negare che vi sia qualcosa di magico ed ipnotico in questo suo secondo album, qualcosa che rende “Opheliac” un vero e proprio capolavoro.

Non è molto elegante trarre subito le conclusioni nelle recensioni, quindi lasciate che mi spieghi. "Opheliac" è uno di quei rari album circolari, un concept involontario il cui trait d’union si dipana dai testi e dalle atmosfere evocate nei singoli pezzi, ascolto dopo ascolto. Si comincia con la titletrack, dove Emilie fa da prologo al suo tormento emotivo avvisandoci che stiamo per assistere all’Ofelia (figura shakespeariana che incarna l’idea di tragedia al femminile per eccellenza) che c’è in lei.

Atto primo della storia: Emilie, abbandonata, constata che ingoierebbe di tutto se ciò servisse a far calare la marea che la sta facendo annegare ("Swallow"); inevitabile, quindi, richiamare le promesse degli inizi di una storia, rinfacciando con rabbia che, alla fine, tutte quelle belle parole di eterna felicità non erano altro che bugie ("Liar"). Sconsolata per un amore finito e rifiutato in cui aveva donato tutta sé stessa, inevitabilmente Emilie finisce prima col chiedersi a cosa serva continuare a vivere ("The Art Of Suicide"), salvo poi constatare che la sua ingenua ed innocente visione della vita le è stata portata via insieme alla sua innocenza ("I Want My Innocence Back"), lasciandole solo un carico di disillusione.

Atto secondo del dramma: Emilie si getta alla disperata ricerca di quella compagnia che possa alleviare la miseria che è diventata ("Misery Loves Company"), ed inevitabilmente finisce nelle braccia sbagliate che la portano di nuovo a smarrire sé stessa, facendo sgorgare in lei la disperata preghiera di “God Help Me”. Tempo quindi di riflettere nuovamente sui motivi per cui la felicità sembra un bene destinato a chiunque, meno che a lei ("Shalott").

Piccolo intervallo nella vicenda rappresentato da “Gothic Lolita”, dove Emilie riflette sulla sua immagine, dichiarando con disarmante onestà che la sua figura non è altro che una maschera, un’armatura che serve sì a proteggerla dal dolore, ma è anche un’arma che mette enfasi alle sue parole, alla sua musica.

Atto finale del dramma: ultima disperata concessione alla flebile speranza che le cose possano tornare com’erano un tempo ("Dead Is The New Alive"), prima che la dura realtà non finisca col lasciare Emilie di nuovo sola, con un nuovo carico di rabbia che porta all’inesorabile morte dell’amore ("I Know Where You Sleep", forse la canzone più brutale del lavoro).

Epilogo: la magra consolazione derivata dalla certezza che questo album dimostri quanto profondamente Emilie abbia amato, e quindi sofferto ("Let the record show").

Questa è senza dubbio una recensione emotiva, ma non voglio né analizzare la musica né ripetere le solite banalità su come Emilie abbia collaborato con Courtney Love e Billy Corgan. E’ scritta forse in modo troppo personale, ma è esattamente così che questo album è stato composto (nello specifico, è chiaro che Emilie era innamorata di un artista piuttosto famoso, che l’ha poi abbandonata: è tutto marchiato a fuoco… o meglio: con eyeliner e rossetto nelle lyrics del cd), e la musica segue fedelmente i tormenti della sua compositrice in un modo che ha dello sconcertante.

Quindi, voglio piuttosto concludere dicendo che i cuori abbandonati, rifiutati e traditi hanno trovato una nuova eroina, una fata gotica che urla, sia con la sua voce che con l’estrema disperazione del suo violino, parole che prima o poi, nella vita, tutti noi vorremmo poter gridare con la stessa fulgida determinazione, grazia ed ironia. Un’artista che, in questo senso, può essere benissimo accostata alle estreme emotività di Tori Amos, Kate Bush, PJ Harvey, Bjork, Synead O’Connor e chi ne ha più ne metta. Sarebbe estremamente triste scoprire a posteriori che Emilie Autumn non è l’artista che si professa ma l’ennesima americanata progettata a tavolino al momento giusto. Tuttavia, inutile negare il presente: "Opheliac" è un capolavoro. Una gemma di goth-pop industrializzato che agogna di essere capito e coccolato, esattamente come la sua autrice.

Nota: la versione europea, giunta un anno dopo l’uscita americana, presenta uno sfavillante cd bonus di 8 tracce e le imperdibili lezioni filmate di Emilie su come essere una perfetta ragazza vittoriana da ricovero. Con queste premesse, e la presenza della favolosa “Thank God I’m pretty” (un titolo, un programma!), questo cd bonus contribuisce attivamente all’eccellenza assoluta della proposta.



CD 1

01. Opheliac
02. Swallow
03. Liar
04. The Art Of Suicide
05. I want My Innocence Back
06. Misery Loves Company
07. God Help Me
08. Shalott
09. Gothic Lolita
10. Dead Is The New Alive
11. I Know Where You Sleep
12. Let The Record Show

CD 2

01. Dominant
02. 306
03. Thank God I’m Pretty
04. Marry Me
05. Bach: Largo For Biolin
06. Poem: How To Break A Heart
07. Poem: Ghost
08. Poem: At What Point Does A Shakespeare Say

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