Lordi
Monstereophonic: Theaterror vs. Demonarchy

2016, AFM
Hard Rock

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 04/11/16

Il mondo della musica è il regno dell’inaspettato. Può succedere di tutto e anche quando sei sicuro di sapere già in anticipo come si evolverà una situazione, finisci per ritrovarti comunque spiazzato da una mossa inattesa che mai ti saresti aspettato. Tanto più se a rimescolare le carte con abile perizia è una band che ha impostato la propria carriera su binari ben predefiniti e con poca possibilità di modifica, dove a dominare sono i costumi carnevaleschi, i siparietti horror/comici durante le esibizioni dal vivo, i brani di chiara matrice/tributo ai Kiss. Stiamo parlando, naturalmente, dei Lordi.

La band finlandese, dopo tre album iniziali di buon livello, aveva piano piano iniziato a dare segni di stanchezza: la curiosità iniziale stava scemando, i brani non risultavano più così accattivanti. Il risultato è che con “Babez For Breakfast” (2010) e “To Beast Or Not To Beast” (2013) si era decisamente arrivati ad un punto di possibile crisi. Quasi come fosse una risposta alle critiche mosse da molti all’interno del mondo musicale, era arrivato “Scare Force One” (2014), ad un solo anno dal precedente album. Non certo un ritorno ai livelli iniziali, ma in ogni caso un buon segnale che i Lordi avevano ancora alcune cose da dire. Per questo “Monstereophonic: Theaterror vs. Demonarchy” Mr. Lordi e compagni hanno deciso di prendersi un po’ più di tempo e di stupire fan e giornalisti. Con un’attitudine decisamente salomonica hanno spezzato a metà il nuovo full-length, dedicando la prima parte – rinominata “Theaterror” – ai fan di vecchia data che adorano il classico sound del combo di Rovaniemi, mentre la seconda parte – dal titolo “Demonarchy” – è un accattivante e quanto mai riuscito esperimento che si allontana decisamente da tutto ciò che i Lordi ci hanno abituato ad ascoltare.

“Theaterror” trasuda anni ’80 da ogni singola nota, ad iniziare dalle deliziose tastiere e dai riff disimpegnati di ‘Let’s Go Slaughter He-Man (I Wanna Be The Beast-Man In The Masters Of The Universe)’ – che si aggiudica anche il premio di titolo più lungo e meno serio mai concepito – dalla leggerezza di ‘Down With The Devil’ o di ‘None For One’ – questa seconda, insieme a ‘Sick Flick’, un po’ troppo canonica ma comunque apprezzabile. A distaccarsi da questa formula ci pensano due brani: ‘Mary Is Dead’, con i suoi rimandi blues zeppeliani, un andamento molto più ipnotico ed atmosferico, la sua velocità più contenuta… un buon antipasto che apre la strada alla seconda parte dell’album; la seconda traccia poco conforme è invece ‘Hug You Hardcore’, già ascoltata e vista qualche tempo fa grazie al video che la band ha diffuso come anteprima del nuovo full-length. Il brano risulta un non proprio azzeccato mix di heavy metal e di industrial che su disco non riesce a cogliere nel segno risultando il più debole dell’intero lotto, ma che da vivo, grazie ai ritornelli come al solito ben realizzati, riuscirà nonostante tutto a coinvolgere e a far ballare il pubblico.

Ad introdurre “Demonarchy” viene utilizzata una nuova intro, questa volta meno sguaiata e cartoonesca rispetto a ‘SCG8: One Message Waitin’. Il cambio di atmosfera introdotto da questo brano è radicale. Vengono abbandonati i lustrini e gli effetti clowneschi che fanno parte del DNA dei Lordi per lasciare spazio ad un concept album pur sempre legato a tematiche horror ma che preferisce giocare sull’atmosfera piuttosto che sul facile coretto: la durata media dei singoli brani aumenta; l’impalcatura su cui poggiano le singole composizioni si arricchisce di elementi e diventa più complessa e varia; l’hard rock lascia il posto all’heavy metal per sfociare persino nel prog; il contributo dei singoli musicisti acquista maggiore spessore, lasciando intravedere un livello qualitativo di ogni componente solitamente oscurato dalla componente baracconesca del combo finlandese. L’ispirazione di Mr. Lordi questa volta ha dato vita a sei composizioni di grande caratura, una rock opera che sfrutta temi triti e ritriti senza per questo venirne sminuita. La sorpresa per questa seconda sezione è grande, il coinvolgimento totale: “Demonarchy” è un violento schiaffo a tutti i detrattori della band che non possono che abbassare il capo e riconoscere i meriti del combo di Rovaniemi. Nonostante l’impianto inaspettato, non mancano alcuni elementi base del sound della band, come le atmosfere rarefatte e cupe, magistralmente mostrate in “Deadache” (2008) – e non è un caso che “Monstereophonic” veda il ritorno di Nino Laurenne, già produttore di quell’album – o la componente teatrale del cantato di Mr. Lordi che qui può spaziare liberamente come un granguignolesco menestrello dalla voce simile alla carta vetrata. Se proprio vogliamo trovare un difetto in questa seconda parte, potremmo citare la forse eccessiva lunghezza della conclusiva ‘The Night The Monsters Died’, che porta ad una eccessiva sfilacciatura delle diverse parti che compongono il brano, o ad un legame ancora troppo forte con lo stile classico della band per quanto riguarda ‘The Unholy Gathering’, ma la qualità dell’insieme non ne risente quasi per nulla.

“Monstereophonic: Theaterror vs. Demonarchy” è ciò che fan e detrattori dei Lordi non si sarebbero mai aspettati. Solido e ben strutturato nelle parti più legate al passato, dirompente e tecnicamente spumeggiante nelle parti più innovative. Esperimento isolato o nuova direzione artistica? In tutta onestà, ben poco interessa all’ascoltatore. Piuttosto che pensare al futuro è meglio darsi ad un album estremamente godibile che ci mostra la band in splendida forma, dove le parole chiave sono sperimentazione ed evoluzione e non più – come i detrattori della band tendono sempre a sottolineare – autoreferenzialità e poca fantasia.



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