Opeth
Damnation

2003, Music For Nations
Progressive Rock

Recensione di Federico Barusolo - Pubblicata in data: 26/03/16

"Damnation" rappresenta indubbiamente un pezzo unico all'interno della discografia degli Opeth, che con questo lavoro mettono momentaneamente da parte le tipiche sonorità di stampo fortemente metal per favorire un tessuto più jazzato e inconfondibilmente prog dall'inizio alla fine. Tutte le tracce di quest'album sono insolitamente caratterizzate da durate più brevi e un corpo acustico, con interventi di chitarra elettrica sempre molto eleganti e mai distorti. Il cantato di Mikael Åkerfeldt non presenta in assoluto il suo caratteristico growl, mantenendo per tutta la durata degli oltre quaranta minuti uno stile pulito.

 

Tutti questi aspetti si devono indubbiamente alla presenza di Steven Wilson in produzione e come musicista al mellotron, l'ex frontman dei Porcupine Tree aveva già collaborato con la band svedese in qualche album precedente, ma la sua mano non è mai stata così palese come in "Damnation".
La delicatezza e raffinatezza di "Windowpane" ci introducono in un mondo di apparente serenità, che ben presto si trasforma però in quella buia cupezza che già ci viene suggerita dall'artwork. "In My Time Of Need" rapisce con l'incredibile bellezza delle sue melodie, facendoci lentamente scivolare in un clima di tristezza che verrà pesantemente accentuato dalla successiva "Death Wispered A Lullaby", con lo struggente testo firmato Steven Wilson.


"Closure" rappresenta invece un piacevolissimo intreccio di melodie tra il folk e lo psichedelico, un brano in continua crescita che sfocia in una trama dal sapore decisamente mediorientale, che viene ripetuto allo strenuo in maniera totalmente efficace. Proseguendo con "Hope Leaves" si ripiomba all'interno del baratro di malinconia scavato dai precedenti pezzi e la luce ci pare ancora più lontana in "To Rid The Disease".

 

La chiusura dell'album è affidata alla strumentale "Ending Credits", che porta avanti soavi trame ricche di psichedelia, ed a "Weakness", che dà forse l'impressione di non essere all'altezza degli altri brani dell'album se non sotto l'aspetto della cupa disperazione che traspare dal testo.


"Damnation" risulta in conclusione un'opera assolutamente unica all'interno della produzione firmata Opeth, un album che magari non colpisce ai primi ascolti, ma che trascina lentamente all'interno della sua atmosfera inquieta e surreale l'ascoltatore che decide di dimenticarsi momentaneamente dei precedenti album della band e di approcciarsi a questa musica con un orecchio diverso. Tra le influenze è sicuramente da sottolineare, oltre a quella scontata dei Porcupine Tree, quella evidente dei Pink Floyd. La sezione ritmica curata da Martin Mendez e Martin Lopez è invece meritevole di elogi in quanto capace di costruire una trama jazz convincente per tutta la durata dell'album.





Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool